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Carola Vai

Personalmente non ho mai creduto all’introduzione per legge delle quote rosa per aiutare le donne a conquistare posizioni apicali . La soluzione per frenare la disuguaglianza di genere può solo venire da provvedimenti governativi . Una convinzione, la mia, non sempre condivisa. Ma con il premier Mario Draghi, forse, si possono auspicare cambiamenti. Lui stesso nel suo primo intervento in Senato ha detto: “Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso”.

Marta Cartabia, ministro della Giustizia con Carola Vai

In che modo? “puntando – ha proseguito Draghi – a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro”. Non resta che attendere contando sul fatto che il nuovo Premier è abituato a frequentare vertici internazionali economici e politici affidati a donne.  Intanto il 2021 affronta un 8 marzo più difficile del solito per le donne di tutto il mondo, Italia soprattutto. La pandemia e conseguente lockdown hanno accresciuto le disuguaglianze sociali, indebolito la posizione delle donne, aumentato il divario tra i due sessi sul lavoro. Inoltre l’emergenza Covid ha evidenziato in modo incontestabile e impressionante come nel nostro Paese a comandare siano solo gli uomini. Le responsabilità non stanno tutte da una sola parte. Prima dell’arrivo della pandemia le donne esistenti nella politica italiana si sono interessate della situazione femminile più a parole che con fatti costruttivi . A sorprendere per lunghi anni sono stati anche gli sforzi delle donne tesi a conformarsi alla visione maschile anziché imporre una proiezione femminile del potere per arrivare ad assumere iniziative davvero utili alle donne. I ripetuti gridi di allarme sulla carenza di natalità non sono mai stati accompagnati da provvedimenti duraturi adatti ad aiutare le donne ad affrontare maternità e conseguente crescita di una figlia o di un figlio. Tante parole, discussioni, dibattiti su famiglia e scuola dell’infanzia, ma rari asili nido e doposcuola, magari in forma pressoché gratuita, per alleggerire il peso dell’impegno famigliare dalle spalle delle donne. Qualsiasi donna per poter lavorare ha bisogno di sapere che i propri figli sono al sicuro. Altrimenti deve scegliere: o i figli o il lavoro. Può averli entrambi avendo denaro a sufficienza per pagare un aiuto, oppure  la fortuna di essere accompagnata da una famiglia in grado di collaborare.

C’è da aggiungere , come è stato detto da più parti , che nella politica italiana  le donne si lasciano sovente usare e poi emarginare.  Le quote rosa non agevolano gli avanzamenti professionali delle donne . Ottenere un posto o un ruolo in politica e non saperlo usare è come non averlo;  rischia di diventare un posto utile a chi ha favorito quella posizione. Nulla viene regalato . Poiché i posti di potere sono per lo più maschili, più delle quote rose sono indispensabili donne decise a competere per conquistare la leadership.  Inoltre, raggiunto il comando, serve non trascurare l’attenzione verso le altre donne perché essere solitarie non aiuta avanzare sulla strada della parità. Purtroppo l’attenzione delle donne verso le donne è ancora un dono raro nel pianeta femminile. Essere “una pennellata di rosa” nei Palazzi del potere porta scarsi risultati. Gli effetti della pandemia, con una presenza femminile più consistente e determinata nei luoghi di comando della politica, forse sarebbero stati meno disastrosi sia in generale,  sia in merito la situazione delle stesse donne. La presenza di qualche ministra in alcuni settori ha prodotto risultati spesso più criticati che accolti con soddisfazione. Il nuovo governo a guida Mario Draghi ha visto un calo dei volti femminili: su 23 ministri, otto le donne (Mariastella Gelmini, Mara Carfagna, Elena Bonetti, Luciana Lamorgese, Marta Cartabia, Maria Cristina Messa, Erika Stefani e Fabiana Dadone) e 15 gli uomini. Dopo la polemica sulla scarsa presenza femminile, la pattuglia dei sottosegretari, pari a 39 unità, ha coinvolto 19 donne e 20 uomini. Tuttavia più della quantità, conta la qualità. Se in Italia mancano donne in luoghi di potere rilevanti i motivi sono numerosi. La leadership, tanto maschile che femminile, non si costruisce con favoritismi e ali protettive dei capi corrente dei partiti. In Italia l’unica donna ad occupare il ruolo di segretario generale di un partito è Giorgia Meloni che si è aggiudicata la leadership con le proprie capacità.

Giorgia Meloni, Presidente di Fratelli d’Italia.

Viene da domandarsi perché molte donne dei principali partiti  seguono indicazioni ed esprimono consensi positivi persino quando negli organismi i diritti di parità sono assenti, o solo apparenti. Si può essere gregari preparandosi quotidianamente a diventare leader. Certo per agire occorre denaro, e le donne hanno quasi sempre risorse finanziarie inferiori agli uomini. Comprensibile che sia necessario risolvere la questione economica. C’è infine da ricordare che le donne dedite alla politica sono poche.  Non sempre per scarso interesse . Piuttosto per le numerose difficoltà che intralciano e frenano l’impegno iniziale o paralizzano il cammino. Pertanto è ingiusto sostenere che le donne preferiscono rimanere ai margini del potere. Possono non avere il coraggio e la convinzione necessari per vincere. Ma per entrare nella stanza del comando ci vuole anche il tempo per  maturare sicurezza e forza. Dovendo disperdere risorse fisiche e pensieri in troppi impegni per difendere la sopravvivenza della famiglia, da quella di provenienza a quella che si è costruito , è difficile raggiungere le vette del comando. Dal governo Draghi è dunque giusto attendere gli esiti prima di trarre conclusioni. Con una certezza: l’economia italiana non potrà riprendersi del tutto senza un’autentica partecipazione delle donne. Inoltre, permettendo alle donne di migliorare, si consente alla famiglia, ai figli, alla società di crescere meglio. L’universo femminile ha spesso l’attitudine a offrire risposte più corrette per affrontare la crisi ed anche la capacità di mostrare uno sguardo positivo e di speranza. Gli esempi arrivano dai Paesi gestiti da donne in tempo di pandemia. Sette leader donne al comando di altrettanti nazioni  (Germania, Norvegia, Finlandia, Danimarca, Islanda, Nuova Zelanda, Taiwan) risultano aver fatto meglio dei colleghi uomini nella lotta al virus. Molti osservatori hanno sostenuto che le sette premier si sono valse del potere basandosi su  quattro parole chiaveverità, risolutezza, tecnologia e amore. E soprattutto utilizzando modi “attraenti e alternativi”.

Angela Merkel

Angela Merkel, cancelliera tedesca saldamente al comando dal 2005, nella lotta contro la pandemia ha agito con rapidità. Parlando in televisione ha invitato la gente a “prendere la vicenda del virus in modo serio perché estremamente pericoloso”. Poche ore dopo con lo stesso tailleur “televisivo” è andata al supermercato a fare la spesa. Immagini che hanno trasmesso l’esigenza di non trascurare la normalità pur prestando enorme attenzione alla difesa della propria e altrui salute. Con il suo comportamento Angela Merkel ha evitato alla Germania di perdere tempo prezioso in inutili negazioni, rabbia e disillusioni come è accaduto nel Regno Unito. E mentre il premier Boris Johnson, dopo aver dato prove di assoluta incapacità di comprendere il problema e averlo addirittura negato, ha dovuto difendere la propria vita dall’aggressione del virus, è intervenuta l’ultranovantenne regina Elisabetta per rassicurare la popolazione.

In Islanda la premier Katrin Jakobsdottir ha offerto test gratuiti a tutti tenendo così sotto controllo la diffusione del virus ed evitando la chiusura delle scuole. Rapida nel decidere il lockdown la premier della Nuova Zelanda, Jacinda Arden, che senza alcuna discussione ha imposto l’autoisolamento a chiunque arrivava nel Paese quando i casi di virus erano appena sei in tutto il territorio: cinque milioni di abitanti per quasi 268.000 chilometri quadrati. Si penserà che è più facile governare un paese minuscolo. Allora che dire di regioni come  LombardiaVeneto,  Piemonte, Emilia Romagna che prese singolarmente non sono certo più grandi della Nuova Zelanda? Eppure, come è noto, la condizione è stata e continua essere drammatica. Situazione sotto controllo pure in Norvegia dove la Premier Erna Solberg ha avuto l’idea assolutamente innovativa di coinvolgere i bambini dedicando loro una conferenza stampa e spiegando la gravità della pandemia con parole a loro comprensibili. In linea con la moda del tempo l’azione della giovane Sanna Marin, 35 anni, premier della Finlandia, che ha coinvolto gli influencer di ogni età per spiegare l’emergenza Covid.  Tutti atteggiamenti diversi dalla Svezia. Il Paese guidato dal premier Stefan Lofven ha suggerito solo un comportamento: la distanza. Poi si è affidato alla responsabilità dei cittadini evitando lockdown e misure repressive. Fino ad oggi la Svezia con 11.000 morti su 10 milioni di abitanti è andata meglio dei grandi Paesi europei, ma molto peggio che nel resto della Scandinavia.

Margaret Thatcher

Dunque le donne governano meglio? Direi che non è questione di genere, piuttosto di preparazione, elasticità, larghezza di vedute per gestire situazioni complesse. Il dramma della pandemia sta cambiando l’organizzazione del lavoro, del tempo, dell’economia, della vita sociale, del commercio. In questo quadro il boom mondiale di Amazon non ha uguali, ma senza che i dipendenti si vedano gli stipendi aumentare di pari passo. Eppure sul tema non c’è il minimo dibattito. Solo uno scontro continuo su regole, mascherine, chiusure e aperture di territori e regioni, con il dilagare di un’angoscia che penalizza anche l’ottimismo delle persone più fiduciose nelle proprie forze e nel futuro. Donne soprattutto . A mio parere si dovrebbe pertanto studiare e capire i metodi delle Premier donne e magari ammettere che dare spazio alle donne nei governi è utile. Ma donne che hanno conquistato la leadership con le proprie capacità ,e non con le quote rosa. Del resto raggiungere ruoli di leadership , come diceva Margaret Thatcher “non è mai fortuna, ma merito”.

Vedi

 http://www.viavaiblog.it/coronavirus-quali-effetti-sul-look-delle-donne-di-potere/

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)