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Pier Carlo Sommo

Chi ha frequentato per lavoro i russi non si stupisce delle carenze organizzative della Russia e dei comportamenti assurdi di Putin e dei suoi dirigenti. Personalmente ho frequentato per oltre un decennio, per ragioni di lavoro, dirigenti e politici allora sovietici. Dal 1986 al 1999 alla Provincia di Torino mi sono occupato delle relazioni internazionali dell’Ente, rapporti tra cui vi era la sovietica Volgograd, (ex Stalingrado), con la quale la provincia è gemellata e avrebbe pertanto dovuto intrattenere rapporti culturali e commerciali

La collina di Mamayev Kurgan fu uno dei luoghi della battaglia

Il gemellaggio risaliva approssimativamente alla fine degli anni 50. La data precisa è sconosciuta in quanto da ricerche negli archivi ben poco è si è trovato, né l’anno né le modalità. Dagli atti si intuisce però che essendo Torino città medaglia d’oro al valor militare gli amministratori di allora si vollero gemellare con una città dai russi indicata “eroica”. Però, mentre gli scaltri milanesi si gemellarono con la bella Leningrado, (oggi San  Pietroburgo), ai torinesi non rimase che accontentarsi della triste Stalingrado, poi diventata Volgograd nel 1961 a seguito della  “destalinizzazione” voluta da Nikita Kruscev.

La città, come è noto, fu completamente distrutta durante la battaglia omonima svoltasi nel corso della seconda guerra mondiale. E’ ignoto come fosse Volgograd prima della distruzione, ma attualmente è certamente una delle più grigie, brutte e tristi città industriali della ex URSS, in quanto ricostruita nel peggiore e più greve stile architettonico del regime sovietico da mano d’opera formata da prigionieri di guerra tedeschi diretti da ingegneri incaricati da Stalin. Persino i nomi delle strade sono poco accattivanti del tipo “via fabbrica dei trattori o via delle fonderie”. Unico punto di interesse turistico è la collina di Mamaev dove c’è un mausoleo monumentale e un museo a ricordo della battaglia.  Anche le condizioni atmosferiche sono difficili, la temperatura è 40° d’estate e meno 30° d’inverno. Nel complesso l’unica cosa pregevole oltre al museo sono gli storioni e il caviale del Volga e la vodka distillata in zona.

Veduta del Volga

Negli anni in cui mi occupai di gestire il gemellaggio ricevetti ed accompagnai innumerevoli delegazioni russe e trascorsi a Volgograd molti giorni per allestire una mostra, ma questo fu un tragicomico viaggio di cui magari parlerò in altra occasione. Perché allora la scarsa simpatia per i russi? Prima di tutto le delegazioni russe che giungevano ciclicamente a Torino erano le più svariate, dai politici agli scacchisti, dagli studenti ai dirigenti industriali, ma avevano tutte uno scopo principale: viaggiare gratuitamente e farsi qualche giorno di vacanza in Italia a spese degli enti pubblici italiani facendo le richieste più astruse. In quelle occasioni due parole russe erano indispensabili per la sopravvivenza di chi li accompagnava: niet (no) e nevozmozhnyy (impossibile).

In oltre un decennio non ho mai visto concludersi un solo accordo commerciale, perché le richieste erano  assurde o pretestuose, inoltrate da politici incompetenti accompagnati da tecnici ancora più incompetenti, spesso addirittura fasulli, perché amici o parenti di qualcuno, aggregati solamente per viaggiare a sbafo. I politici, allora ancora comunisti, erano ampiamente benestanti, elegantemente vestiti in boutique europee, che approfittavano del viaggio per fare shopping e contattare dirigenti di industrie italiane con attività in Russia per trattare rapporti non governativi ben intuibili o seguire l’andamento dei loro conti bancari in Svizzera, di immaginabile provenienza e di certo non in rubli.

Palazzo della cultura

Le delegazioni della provincia di Torino,  che contraccambiavano le visite recandosi in Russia, invece non erano quasi mai più di una per legislatura, perché appena i consiglieri provinciali della prima visita ritornavano dal viaggio lo raccontavano ai colleghi, che quindi ben si guardavano dall’andare nella poco appetibile Volgograd. Oltre ad essere una località nel complesso poco gradevole, con alberghi intensamente popolati da tarakan (esotico nome dei nostrani scarafaggi), era collegata a Mosca da un volo interno della Aeroflot effettuato con vetusti aerei Ilyushin che erano rottami o pressoché, affetti da frequenti guasti ed incidenti.

Nei rarissimi casi in cui i tentativi di rapporti commerciali avevano un minimo di avvio, subito dopo fallivano immancabilmente perché vi erano guai tecnici o giuridici impensabili, dovuti a fenomeni di disorganizzazione e superficialità inverosimili. I russi interpellati, su qualsiasi problema, sostenevano sempre che era tutto a posto, anche davanti al più totale disastro: in breve dei menzogneri seriali infaticabili. Sorvolo poi su alcuni tentativi di raggiri commerciali, così mal congegnati da essere scopribili anche da un bambino.

Palazzo delle Poste

Dopo alcuni anni di tali rapporti, una sera chiacchierando con il collega, che condivideva con me il fardello dei rapporti con l’URSS, venimmo alla conclusione che non avrebbero mai invaso militarmente l’Europa perché avrebbero finito la benzina, perso le carte geografiche o dimenticato le munizioni a casa… Pur non essendo profeti o agenti della CIA anticipammo quello che sta accadendo oggi nell’invasione dell’Ucraina.

Ecco perché da allora evito rapporti di alcun genere con i russi e oggi non mi stupisco della straordinaria incapacità e disorganizzazione dell’esercito e dell’organizzazione statale russa, corrotta e confusionaria. Purtroppo nello stesso tempo ho il timore che nella loro irresponsabile inettitudine facciano, anche inavvertitamente, qualche atto insensato.

Monumento ai fondatori della città

Debbo concludere ammettendo che in quegli anni qualche raro russo normale, corretto e di buon senso l’ho conosciuto, come il mio amico Nikolaj, figlio peraltro di un internato in Gulag ai tempi di Stalin. Confidenza che raccolsi in Russia di sera, a meno 27 gradi in un giardino, perché come interprete era controllato dal KGB  e temeva i microfoni in qualsiasi locale chiuso.

Speriamo che qualcuno di quei russi intelligenti e di buonsenso prevalga sulle folle elucubrazioni di un mediocre ex agente del KGB ossessionato da manie imperiali….

 

 

 

 

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Nella foto grande – 1989  Inaugurazione della mostra “Pittori e scultori da Torino a Volgograd” organizzata dalla Provincia di Torino. nella foto da sinistra: Il pittore Emilio Scarsi, Il vice capo di Gabinetto Pier Carlo Sommo, i consiglieri provinciali Giuseppina Perrone,  Secondo Chiosso e Carlo Mastri davanti al monumento che ricorda la battaglia di Stalingrado.

Author: Pier Carlo Sommo

Torinese, Laureato in Giurisprudenza, Master in comunicazione pubblica e Giornalista professionista. Dal 1978 si occupa di comunicazione e informazione nella pubblica amministrazione. Ha iniziato la carriera professionale presso la Confindustria Piemonte. Dopo un periodo presso l'Ufficio Studi e Legislativo della Presidenza della Regione Piemonte nel 1986 è diventato Vice Capo di Gabinetto e Responsabile Relazioni Esterne della Provincia di Torino Dal 1999 al 2020 è stato Direttore delle Relazioni Esterne e Capo Ufficio Stampa dell'ASL Città di Torino. Autore di saggi, articoli e ricerche, ha pubblicato numerosi volumi e opuscoli dedicati alla comunicazione culturale - turistica del territorio. È docente in corsi e seminari sui problemi della comunicazione e informazione presso le società di formazione pubbliche e private . Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso l'Università di Torino e Università Cattolica. embro del Direttivo del Club di Comunicazione d'Impresa dell’Unione Industriale di Torino, dal 2005 al 2008 è stato Vice Presidente. Presidente del Comitato scientifico di OCIP Confindustria Piemonte Membro del Comitato Promotore dell' Associazione PA Social, È stato Segretario Generale Nazionale dell'Associazione Comunicazione Pubblica e Istituzionale dal 2013 al 2020.