Dario Gedolaro
Si ha un bel dire non alziamo i toni in questa campagna elettorale, come ha auspicato il Presidente della Repubblica, poi si leggono certi articoli e si rimane basiti. Hanno iniziato i grandi mass media con la fake news che la crisi provocata dal centro destra era stata eterodiretta dalla Russia. Poi è scesa in campo pesantemente la stampa di estrema sinistra con il grido: “Attenzione al pericolo fascista!”.
Esemplare da questo punto di vista l’editoriale, a firma Norma Rangeri, comparso nei giorni scorsi su Il Manifesto, una vera summa dello stupidario politico pseudoprogressista: “E’ in gioco la nostra democrazia”, è l’ eloquente titolo: “Il 25 settembre – si legge – le destre italiane, fascistoidi e reazionarie, grazie a una nefasta legge elettorale che non consente il voto disgiunto (???), potrebbero vincere le elezioni e mettere sotto ipoteca la nostra democrazia”. Una vera emergenza democratica, che va ad aggiungersi “alla tragedia della pandemia, all’invasione russa dell’ Ucraina, all’ aumento drammatico della povertà, agli allarmi inascoltati per l’ ambiente”.
Gli italiani rischiano di vivere, prosegue la Rangeri: “sotto un governo nero, di cui farebbero le spese milioni di persone senza lavoro e senza futuro; i diritti civili sarebbero via via ridotti; i programmi scolastici rivisti in ossequio alla trinità dio-patria e famiglia; gli immigrati per ottenere la cittadinanza costretti a imparare a memoria (è nel programma leghista) i nomi e le date delle sagre padane; l’autonomia differenziata messa tra i primi provvedimenti operativi con la sanità e i servizi sociali ridotti al rango di beneficenza per i poveri; il reddito di cittadinanza cancellato perché chi non trova lavoro vuol dire che non lo merita. Che tutto questo accadrà se vinceranno le destre mi sembra inconfutabile”. Poi le conclusioni. Per sconfiggere le destre ci vuole un’ “alleanza democratica” che inglobi “Letta, Renzi, Calenda, Di Maio, Conte, Fratoianni, Bonino, Bonelli, Bersani”. Una “mission impossible”, ammette Il Manifesto: “Come si possono mettere sotto un’unica sigla persone che non sarebbero disposte neanche a prendere un caffè insieme? Quali punti programmatici potrebbero tenere su un fronte comune forze e partiti diversamente orientati?”. Però aggiunge: “So bene che si tratta di un’impresa ardua. Ma si deve almeno tentare. Oltretutto la legge elettorale non prevede l’obbligo di programmi comuni, né l’indicazione del premier, ma solo alleanze elettorali”.
Su questo punto l’ineffabile Letta sembra concordare: chissenefrega di affinità politico/programmatiche: “Se non siamo uniti perdiamo”, ha recentemente dichiarato. Insomma un nuovo carrozzone come quello che portò Prodi al governo, ma che crollò abbastanza presto per l’impossibilità di tenere insieme Mastella e Bertinotti. L’ impostazione sembra essere quella indicata anni fa da un segretario provinciale della Dc: “Ricordatevi amici: tutti uniti per restare”.
Intanto Calenda fa dichiarazioni opposte a quelle di Letta, in barba al patto appena sottoscritto col leader del Pd: “Ho chiesto condizioni molto stringenti a Enrico Letta, una lista precisa dell’Agenda Draghi e che neanche un voto di Azione andasse a Di Maio o Fratoianni”. Come si traduca questo nel “campo largo” per battere le destre è difficile da capire, ma si può presumere che “più dell’ onor” potrà la voglia di qualche seggio sicuro in Parlamento. E così il famoso Centro, che avrebbe potuto essere l’ago della bilancia, si sta già sfaldando con Renzi che prende le distanze e giura (ma sarà vero?): “Noi corriamo da soli”.
Persino un propagandista del centrosinistra come il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, ammette: “I partiti di centrosinistra in zona disagio. Troppi rospi da ingoiare per battere la destra. Fratoianni e Bonelli non vogliono stare con Calenda, i calendiani non vogliono stare con di Maio, Letta canta e porta la croce. E la destra si gode lo spettacolo mangiando popcorn”.