Carola Vai
Scienziata lei, giornalista lui, coetanei, entrambi guidati per tutta la vita dall’indipendenza di pensiero. Diversissimi, eppure con molte analogie. Si tratta di Rita Levi-Montalcini, Premio Nobel per la medicina e senatrice a vita, e Indro Montanelli, tra i più popolari giornalisti del Novecento. Lei torinese, lui toscano, entrambi nati il 22 aprile 1909, ma morti a dieci anni di intervallo: lui il 22 luglio 2001, all’età di 92 anni; lei il 30 dicembre 2012, a 103 anni. Eppure, a distanza di 114 anni dalla nascita tutte e due continuano attrarre giovani e meno giovani, a suscitare elogi e critiche, ammirazione e curiosità. Logico domandarsi: perché?
La risposta potrebbe essere che quando ci si trova davanti a qualcuno o a qualcosa difficile da comprendere, l’attrazione cresce alternandosi a interrogativi continui. Anche per coloro che, come me, hanno conosciuto entrambi. E addirittura in un caso ho scritto una biografia approfondita: “Rita Levi-Montalcini, una donna libera” (Rubbettino editore), volume che si trova in vendita in molte librerie di tutta Italia e sui siti on line dedicati al settore. Del resto si tratta di due personaggi dalle esistenze singolari, alle quali le Poste italiane hanno dedicato un francobollo: nel 2009 a Montanelli e nel 2013 a Rita. Comprensibile che la morte non abbia distrutto il mito né dell’uno, né dell’altro. Rita Levi-Montalcini oggi è anche un asteroide in orbita tra Marte e Giove su decisione, nel 2010, della International Astronomical Union. Motivazione: la scoperta dell’Ngf, nerve growth factor, la molecola che controlla la proliferazione delle cellule nervose, attualmente al centro di molte ricerche scientifiche indirizzate a migliorare la vita umana. Montanelli il cui monumento con la sua famosa macchina da scrivere Olivetti “lettera 22” campeggia nei Giardini di Porta Venezia a Milano, è stato superato in notorietà mondiale dall’ebrea torinese. Tenaci e testardi tutte e due, indifferenti almeno in apparenza tanto agli elogi che alle violente critiche, soprannominati “la principessa della scienza” lei per la raffinata eleganza; “il principe del giornalismo” lui per la sua abile penna, in comune avevano dettagli contrastanti. Come le loro vite. Entrambi appartenenti a famiglie benestanti, eppure osteggiati nelle loro ambizioni professionali dai rispetti padri. Rita all’età di 19 anni scelse di ribellarsi al destino voluto dal genitore, imprenditore di successo, decidendo di riprendere gli studi, entrare all’università, laurearsi in medicina. Fatto rarissimo a quell’epoca per una donna. Montanelli volle fin da piccino, come lui stesso spesso narrò, fare il giornalista con grande disperazione di suo padre, preside di un liceo, che riteneva il giornalismo con disprezzo “un mestiere piuttosto aleatorio”.
Tutte e due, dopo la laurea (lui a 21 anni nel 1930 in Giurisprudenza a Firenze- ne prende una seconda nel 1932 in Scienze Politiche; lei nel 1936 in Medicina a Torino, all’età di 27 anni, insieme ad altri due futuri Premi Nobel: Salvatore Luria e Renato Dulbecco), inizieranno a viaggiare prima in Italia, poi all’estero. Tutte e due non lasciarono mai trapelare l’eventuale paura provocata dalla guerra, dalle bombe, dalle difficoltà varie. Tornata la pace, Rita nel 1947 partì per gli Stati Uniti con Dulbecco. Cominciarono per lei 30 anni di lavoro all’università di Saint Louis; giorni dedicati alla ricerca scientifica, successi, riconoscimenti, viaggi in tutti i continenti scanditi da frequenti ritorni in famiglia, a Torino e in giro per l’Italia. Poi la conquista del Premio Nobel per la medicina nel 1986. Ma nel 1988-1989 fu travolta dalle vicende dell’azienda farmaceutica Fidia, azienda dalla quale la scienziata aveva ottenuto finanziamenti per le sue ricerche. Critiche e calunnie finirono anni dopo nel nulla.
Viaggi e successi in quegli anni anche per Montanelli diventato una firma prestigiosa del quotidiano più letto in Italia, Il Corriere della Sera. Ma improvvisi controversie con la direzione convinsero Montanelli a lasciare la testata e fondarne un tutta sua: “Il Giornale Nuovo”, il cui primo numero uscì il 25 giugno 1974 diventando nel 1983 “Il Giornale”. Per 20 anni Montanelli fu il “padrone”, come amava definirsi, della sua creatura. Fino all’11 gennaio 1994 quando il proprietario del quotidiano, Silvio Berlusconi, stabilì di entrare in politica e Montanelli se ne andò. Mesi difficili per il famoso giornalista, e curiosamente pure per Rita Levi-Montalcini alle prese con il caso Fidia. Montanelli reagì all’addio a Il Giornale fondando un nuovo quotidiano, “La Voce” che però visse poco più di un anno. E lui tornò al Corriere della Sera dove firmò fino alla fine dei suoi giorni terreni.
Nati nello stesso giorno Montanelli e Rita, quando la sanità pubblica, le ferie pagate ai lavoratori, la pensione, la televisione, i computer non erano nemmeno immaginabili dalle menti più fantasiose, tutte e due a 70 anni potevano beneficiare delle varie possibilità. Ma mentre Montanelli diceva: “continuo a scrivere con la macchina Olivetti Lettera 22. Non la producono più per questo ne ho acquistate 5 che ho dislocato in vari punti. Oltre non so andare. Io il fax non lo so usare…”; Rita si serviva da sempre di tutte le tecnologie disponibili nel tentativo di utilizzare il tempo al massino. Determinata a non lasciarsi schiacciare, nei limiti del possibile, nemmeno dal trascorrere dei giorni, dichiarò senza sosta un enorme ottimismo sulla vecchiaia sostenendo: “non sono né la forza, né l’agilità fisica, né la rapidità che consentono le grandi imprese. Sono piuttosto altre qualità, come la saggezza, la lungimiranza e il discernimento. Qualità di cui non solo la vecchiaia non è priva, ma al contrario essa può ampiamente sfruttare”. Convinzione respinta da Indro Montanelli che pur definendosi solidale con la scienziata, aggiunse: “invidio un poco il suo ottimismo. Io non mi sento più intelligente di 30 anni fa, tanto per dire un periodo. Forse sono un poco più comprensivo delle cose umane, in quanto ne ho visto la relatività”. A novant’anni Rita rispondendo al giornalista Enzo Biagi su quando una persona si deve considerare vecchia, osservò: “Mai, se vuole”. Poi aggiunse: “Dipende da noi. Sempre se viviamo in Paesi di alta cultura perché nei Paesi in via di sviluppo non si è mai vecchi poiché si è necessari alla società. Invece nei Paesi dove conta la bellezza fisica, come negli Stati Uniti, si è vecchi a 50anni. Dove invece si è liberi, come ad esempio in Italia, la vecchiaia non esiste. Io ho 90anni. Sono alla quarta età, ma la cosa non mi pesa. Il mio cervello funziona”.
Montanelli pur avendo respinto l’offerta del presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, di diventare “senatore a vita”, suggerì tempo dopo la nomina a Presidente della Repubblica di una donna. E fece il nome di Rita Levi-Montalcini con quelli di Letizia Moratti, Emma Bonino, Tullia Zevi.
Nel luglio 2001, il giornalista più omaggiato e discusso d’Italia, morì. Aveva 92 anni. Venne sepolto nella sua Fucecchio, paesino tra Pisa e Firenze, mentre la moglie, Colette Rosselli, scrittrice nota con lo pseudonimo di “Donna Letizia” mancata cinque anni prima all’età di 85 anni, era stata sepolta a Genova nel cimitero monumentale di Staglieno accanto alla sorella. Pochi giorni dopo, il primo agosto, Rita Levi-Montalcini che stava vivendo giorni difficili per aver perso prima la sorella maggiore Anna, poi l’adorata gemella Paola, pittrice, venne nominata “senatrice a vita” dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Era la seconda donna nella storia dell’Italia a ottenere tale titolo. Prima di lei c’era stata un’altra piemontese, Camilla Ravera eletta dal Presidente Sandro Pertini nel gennaio 1982. Ravera, strenua sostenitrice della libertà delle idee e dei diritti delle donne, nata nel 1889, frequentò l’aula fino a poco prima di morire nel 1988. Alla soglia dei cento anni.
Rita Levi-Montalcini era anche il secondo Nobel a occupare un posto in Senato. Nel 1967 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat aveva assegnato il titolo al poeta Eugenio Montale Nobel per la Letteratura nel 1975 e deceduto il 2 settembre 1981 a Milano, alla soglia degli 85 anni. Il ruolo di senatore a vita provocò a Rita un fiume di giudizi entusiasti. Ma a meno di due settimane dalla sua entrata ufficiale a Palazzo Madama, il mondo subì lo shock degli attentati dell’11 settembre a New York e a Washington, con il crollo delle torri gemelle, la morte di tremila persone e una totale trasformazione del modo di vivere e viaggiare in tutti i paesi. La scienziata non espresse pareri e frequentò le aule del Senato fino alla morte avvenuta nella sua casa di Roma il 30 dicembre 2012, undici anni dopo Montanelli. Nonostante avesse superato i 103 e fosse vicina ai 104 anni, la su morte suscitò una generale sorpresa e un coro di rimpianti. Come era avvenuto per Montanelli. Tuttavia per la scienziata gli elogi non lasciarono spazio alle rare critiche. Per Montanelli elogi e critiche si mescolarono dividendo in un certo senso sostenitori e denigratori. Ma se la scoperta scientifica di Rita Levi-Montalcini continua essere materia di studio del mondo scientifico, anche l’arguta penna di Indro Montanelli è al centro del mondo del giornalismo. E i campi professionali di entrambi sono ancora alla vana ricerca di eredi dei due loro famosissimi rappresentanti.
http://www.viavaiblog.it/perche-scrivere-un-libro-su-rita-levi-montalcini/
http://www.viavaiblog.it/rita-levi-montalcini-e-difficile-quasi-impossibile-fermare-le-donne/