Dario Gedolaro
Si parla del declino industriale del Piemonte e Chiara Appendino sale in cattedra. E’ accaduto in questi giorni, quando si è tenuta a Torino una seduta straordinaria aperta del Consiglio regionale del Piemonte per parlare delle crisi aziendali regionali. In realtà – Ilva di Novi Ligure esclusa (per la quale si preannuncia l’intervento salvifico dello Stato) -il problema riguarda in primis Torino e Provincia.
Dunque, come accade ormai da anni, la manifattura torinese continua a perdere pezzi: non solo Stellantis utilizza massicce dosi di cassa integrazione e ha chiuso lo stabilimento di Grugliasco, ora si aggiungono aziende come Lear e The Connectivity di Grugliasco, Comdata di Ivrea. A inizio 2024 la Regione Piemonte ha censito 12 imprese in crisi. Sia chiaro, Stellantis a parte, niente di così grave per l’apparato industriale piemontese e infatti gli ultimi dati dicono che il Pil regionale è salito più della media italiana.
In questo quadro, all’incontro del Consiglio regionale rifulgono le accuse dell’ex sindaco Chiara Appendino, definite in un articolo di Repubblica: “L’attacco frontale più duro”. Ebbene la parlamentare Cinque Stelle (che si è guadagnata il seggio a Montecitorio dopo la rinuncia a ricandidarsi a primo cittadino visto che i torinesi l’avrebbero sicuramente bocciata) ha sostenuto: “C’è una clamorosa assenza del Governo su questi temi. Così come c’è stata altre volte: non è mai andato nessuno ai cancelli delle aziende in crisi… Il Governo è stato in silenzio anche sulla scelta di Stellantis di andare a produrre all’estero la Panda”. La politica diventa spesso teatrino, ma la recita della Appendino è stata scadente. E, infatti, l’assessore regionale al Lavoro, Elena Chiorino, ha avuto buon gioco a ribattere: “Appendino da sindaco di Torino, con il Governo Conte, si è dimenticata di sedersi al tavolo nel momento in cui veniva siglata l’operazione Stellantis”. Giusta sottolineatura, cui si potrebbero aggiungere, però, altre “perle”. Appendino non seppe far assegnare a Torino il Tribunale Europeo dei Brevetti, importante istituzione dell’Ue che andrà a Milano. La candidatura non era stata lanciata ovviamente da lei, ma dalla famose “7 madamine”, quelle che avevano capeggiato la rivolta della città contro il “No” alla Tav pronunciato dalla maggioranza Cinque Stelle del Comune propugnatrice della “decrescita felice” della città. A un politico, che sollecitava un suo impegno per il Tub, pare avesse risposto che “alla città interessa poco questa battaglia”. Fu però costretta a presentare senza entusiasmo la candidatura dopo l’approvazione di una mozione in tal senso di cui si erano fatti promotori in Consiglio Comunale alcuni gruppi di opposizione. Lo scarso impegno fu tale che Torino ricevette un no dal Governo (al quale spettava di indicare la sede per il Tub), nonostante il presidente del Consiglio e il Ministro degli Esteri fossero Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, sodali di partito della Appendino.
Ma non basta, occorre anche ricordare il disinteresse dimostrato quando la finanziaria del Gruppo Agnelli, la Exor, cercò di cedere, alla Faw, un’azienda statale Cinese, Iveco, grande gruppo industriale con sede fiscale e operativa a Torino, dove ha il suo quartier generale. La cessione fu bloccata per le pressioni del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e del commissario Ue agli Affari Economici, Paolo Gentiloni.
Insomma, mai come in questo caso si può dire: “Da che pulpito viene la predica”. Quello che sconcerta di più, però, è che Chiara Appendino venga da alcuni accreditata come il numero 2 dei Cinque Stelle, dopo il presidente Giuseppe Conte