*Pier Carlo Sommo
Il 2020 volge al termine. È tempo di bilanci. Qualche considerazione sul periodo trascorso. Essendo la Comunicazione / Informazione Pubblica da anni il mio mestiere parlerò di emergenza COVID19 nell’ambito della mia professione. La sera del 18 dicembre 2020 il Premier Giuseppe Conte ha trasmesso l’ennesimo messaggio sulle disposizioni anti contagio per fine anno. Al di là del contenuto, come al solito troppo lungo e poco chiaro, le reazioni in prevalenza non sono state positive, perché il tentativo di soddisfare tutti, di regola ottiene l’effetto contrario. Inoltre dal messaggio pare assente un piano strategico valido.
Se si seguono seminari e convegni in materia di comunicazione del #COVID19, si riscontra che troppi comunicatori delle istituzioni navigano fuori dal contesto pratico spesso lontano dalle problematiche reali. La maggior parte dei partecipanti a questi eventi, che opera nelle varie istituzioni, cerca di parlare bene del proprio lavoro, ma senza cogliere l’essenza dei punti critici da correggere, l’ansia sembra quella di non contraddire nessuno. Un seminario è utile se c’è dialogo accompagnato da analisi e confronto. Una qualsiasi attività di comunicazione, operata coi mezzi tradizionali o social media, anche bella e valida, è totalmente inutile, se non dannosa, se fuori da in un piano strategico che determini preventivamente modi, tempi e collocazioni opportune. In presenza di una pandemia che dura da quasi un anno con la fine solo largamente ipotizzabile, è necessaria una strategia di lungo termine, con ipotesi di variabili. In questo caos molti professionisti della comunicazione, specialmente quelli che tendono solo ad eseguire, cercano di giustificarsi anziché interrogarsi per migliorare. Una crisi o evento critico sono sempre contemporaneamente una crisi di comunicazione. Elemento strategico indispensabile nella gestione di una crisi è la crisis communication che è compresa nel crisis management, ossia la gestione globale della situazione. Le due azioni, quella di comunicazione e quella tecnico-operativa, devono essere contemporanee, parallele e coordinate, nessuna delle due può mai sostituire l’altra o essere sottostimata.
Nella gestione della comunicazione del #COVID19 c’è un persistente scoordinamento: una comunicazione centrale spesso in ritardo e altalenante, aggravata da quella ancora più confusionaria delle regioni. Gli organi tecnici quasi sempre trascurano l’apporto indispensabile di specialisti della comunicazione, li utilizzano come meri esecutori, producendo così dati “freddi” e poco comprensibili. I politici hanno contribuito alla confusione con inopportuni personalismi, alcuni anche al limite del ridicolo, introducendo elementi emotivi e di politica in ciò che dovrebbe essere solo tecnico e pragmatico. Tutte le settimane il comico Maurizio Crozza nel suo show televisivo bene evidenzia tale aspetto.
Eppure proseguono gli errori di comunicazione. Chi deve organizzare un’attività sa molto bene cosa è il debriefing, indispensabile in presenza di una crisi. Debriefing è un termine inglese e fa riferimento alla pratica militare di fare rapporto alla fine di ogni missione. È un processo di analisi inversa che aiuta a verificare il raggiungimento degli obiettivi e le criticità di un progetto al fine di analizzare le attività svolte, e verificare la loro corretta applicazione. Conoscere quali obiettivi sono stati raggiunti e se la strada intrapresa era quella giusta. Tutto ciò evidentemente non è stato fatto nella seconda fase della pandemia.
Ecco, a grandi linee, alcune criticità. La partenza gestionale, lo scorso gennaio, è arrivata in ritardo di quasi un mese e, a quanto pare, il piano generale non era aggiornato; la disputa è ancora in corso. A marzo i tempi della pandemia erano già stati ipotizzati dagli specialisti più autorevoli ed equilibrati. L’ipotesi prevedeva una durata fino a fine 2021, con una seconda ondata nell’ autunno 2020 quasi certa. Si è dato spazio a ipotesi senza presupposti. Sperando, con flebilissimo fondamento scientifico, si è arrivati all’autunno impreparati sotto molti aspetti.
La comunicazione dei dati numerici inerenti il #COVID19 è stata assolutamente deficitaria. Probabilmente è stato involontario, ma all’atto pratico sono stati divulgati dati comprensibili solo a livello di conoscenza specifica e non chiari, generando spesso interpretazioni confusionarie tra balletti di ottimismo e pessimismo, quando i numeri aumentavano o calavano di poche decine di unità. Regola aurea comportamentale durante una crisi è di non rassicurare troppo né intimidire. Nella gestione italiana della comunicazione del COVID19 tale regola è stata totalmente disattesa. Una delle conseguenze, ad esempio, è che il messaggio ha fatto intendere che il problema dei decessi riguardava solo gli anziani, incentivando così comportamenti lassisti dei giovani.
Sul piano vaccinale è stato detto in primavera, molto chiaramente, che i vaccini impiegano 15/18 mesi per essere sviluppati. Sono dati tecnici e non ipotesi. Pertanto il messaggio principale da veicolare era quello di utilizzare al massimo la prevenzione per poter “convivere” almeno un anno con l’epidemia. Quindi doveva esserci un focus rigoroso su mascherine, distanziamento, disinfezione, senza divagazioni. Più cautela ben comunicata e fatta rispettare avrebbe provocato meno chiusure drastiche.
Un errore di comunicazione, come accade per l’AIDS. Da anni si fa pochissima comunicazione di prevenzione su una pandemia che dura da quasi 40 anni. Nel 2019 in Italia ci sono stati 2.531 nuovi infettati da HIV. Molti pensano che sia un problema limitato prevalentemente a drogati o omosessuali. Invece l’AIDS da tempo riguarda persone tra i 25 e i 40 anni e in numero pari tra etero e omosessuali; i drogati sono solo il 6%. La maggioranza si è infettata praticando sesso non protetto. L’AIDS non è debellato e non è curabile, chi lo contrae sopravvive, ma è condannato per tutta la vita a cure farmaceutiche. L’unica difesa è la prevenzione con il preservativo, e nulla più. Con il COVID19 oggi, e ancora per molti mesi, siamo nella stessa situazione dell’AIDS: dobbiamo “convivere”, applicando al massimo la prevenzione in attesa di una vaccinazione efficace.
Altro errore di comunicazione è parlare di vaccini gratuiti. Non è una graziosa concessione, è un dovere dello Stato, e le vaccinazioni per le principali malattie infettive sono gratuite da sempre. Inoltre in questi giorni si sta enfatizzando un vaccination day a fine anno. Sarebbe opportuno ridurre i toni per non creare aspettative errate. E’ solo un inizio, applicato ad un quantitativo limitato a pochi operatori sanitari, enfatizzarlo fomenta l’impazienza mentre i tempi sono ancora lunghi. Anche qui sembra prevalere la propaganda e l’ansia di compiacere a discapito di una comunicazione istituzionale logica e cauta, che poi è di maggior resa sul tempo. Altra rappresentazione che dura da mesi è il susseguirsi di norme nazionali e regionali, malfatte. Indicazioni poco chiare, scoordinate, spesso in conflitto tra loro, a volte spiegate malissimo, da chi dovrebbe renderle chiare e applicabili. Le interpretazioni sono lasciate ai tutori della legge costretti a soprassedere o reprimere, oscillando fra lassismo e rigore.
Della situazione ha parlato in una intervista il sociologo prof. Luca Ricolfi (Università di Torino) : “Non so se ci sia uno scopo, semplicemente non sono capaci. La tergiversazione della politica c’è stata anche in altri paesi ma in nessuno ha raggiunto il livello dell’Italia sia nella prima che nella seconda ondata. Il problema è che, secondo gli studi che ho effettuato, tergiversare ha un costo umano che adesso non voglio quantificare esattamente perché siamo in una trasmissione tv, ma nell’ordine di decine di migliaia di morti. Anche in termini di punti di PIL tergiversare ci è costato 2-3 punti: perché succeda non lo so ma vedo questi politici che si preoccupano dei loro equilibri interni e non hanno alcun rispetto del diritto dei cittadini di avere regole chiare e comunicate con i tempi giusti, come accaduto in Germania”. Sempre Luca Ricolfi sulle pagine del “Messaggero” critica ancora la politica dei lockdown a “stop e go” e smonta il capitolo degli assembramenti nelle piazze, dei quali si tenta di addossare tutta la responsabilità ai cittadini, oscurando le manchevolezze di chi è tenuto a controllare e gestire il movimento delle persone. Scrive Ricolfi: “Per non essere travolti dai contagi bisognava fare qualcosa di più e di diverso dai lockdown tardivi cui siamo stati costretti in Italia. Non dico adottare in toto la strategia asiatica, ma assimilarne gli elementi cruciali: controlli alle frontiere, più tamponi di massa, contact tracing, quarantene rigorose”.
Poche frasi che sottolineano molto bene come si poteva fare meglio e di più.
“Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza.” Galileo Galilei
Galileo Galilei – Scienziato
*Pier Carlo Sommo – Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso le Università di Torino e Cattolica Roma .