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Dario Gedolaro

Che Gino Strada sia un nostalgico del centralismo statalista non mi stupisce (nell’ Unione Sovietica si chiamava: “Centralismo democratico”). Ma nell’ articolo a sua firma comparso sul quotidiano La Stampa alcuni giorni fa dice una serie di sciocchezze (prima di lui dette anche dal “burocratame” romano) a proposito della gestione del sistema sanitario italiano, che suo dire dovrebbe tornare completamente nelle mani dello Stato. Primo: “la #pandemia ha messo in evidenza l’estrema fragilità del nostro sistema sanitario”. Sarà anche vero, ma questa fragilità non deriva tanto dal fatto che la Sanità sia gestita dalle #Regioni (per altro, ricordo a Strada, istituzioni democratiche pubbliche come lo Stato), ma soprattutto dai tagli alle spese imposti dallo Stato italiano.

Istituto Superiore di Sanità

Secondo: “nel mezzo della pandemia ci siamo resi conto che non avevamo materiali di protezione”. Gino Strada dimentica che l’ approvvigionamento di questi materiali nei primi mesi della pandemia non è stato affidato alle Regioni, ma centralizzato e assegnato sciaguratamente dal Governo nazionale alla Protezione Civile, la cui inadeguatezza non la sostengo io ma il report a suo tempo fatto dalla Hopkins University su come le nazioni avevano affrontato il #Covid 19. Ho scritto a suo tempo che un Governo “centrale” saggio si sarebbe servito di altre istituzioni, come l’ Esercito, che ora infatti viene tirato in ballo per la distribuzione dei vaccini. Di Protezione Civile non si parla quasi più, sarebbe interessante sapere come e se ha utilizzato i miliardi di euro che le sono giunti da vari canali pubblici e privati.

Terapia intensiva UTIC

Terzo: “la sanità territoriale era inesistente”. Qui poi casca veramente l’ asino. La Sanità territoriale significamedici di base, pagati (bene) dallo Stato, che indica anche i doveri di orari e di lavoro. Gino Strada sa che un medico “pubblico” di base se ha 1.500 pazienti guadagna 170 mila euro all’ anno e ha l’ obbligo di fare 15 ore settimanali di studio e nient’ altro? Di visite domiciliari ci siamo quasi tutti noi pazienti scordati da tempo (“venga in studio anche con la febbre, di febbre non è mai morto nessuno”, ha detto a una mia amica un medico di base).

Quarto: il guaio per Strada sono i soldi dati dallo Stato alla Sanità Privata. Sono stati dati per l’ impossibilità di quella pubblica a elargire certe prestazioni (ricoveri in case di riposo o in strutture per lungodegenze, riduzione delle lunghissime liste di attesa per esami e visite specialistiche, ecc). Ricordo che spesso per vari motivi di inefficienza, al pubblico costa ben di più fornire direttamente determinanti servizi, piuttosto che pagare un privato perché se ne occupi lui: cito solo  il caso degli asili nidi comunali torinesi, che avevano un costo per bimbo superiore di 3/4 volte rispetto alle analoghe strutture private, ragion per cui il sindaco Piero Fassino ne ha affidati una buona parte a cooperative private.

Laboratorio

Parlare poi di Sanità pubblica “gratuita” – come fa Strada –  fa un po’ ridere in un Paese in cui si pagano ticket spesso uguali o più cari delle prestazioni elargite dalla Sanità privata. Inoltre, la Regione che spende di più per la Sanità privata è la Lombardia ed è anche la Regione con il minor costo pro capite della sanità.

Aggiungo, infine, che lo Stato in questa pandemia non ha fatto bella figura né con i suoi burocrati, come quelli dell’ Istituto Superiore di Sanità, i quali all’ inizio dicevano che la mascherina non serviva e davano indicazioni contraddittorie (esemplare il caso dell’ idrossiclorochina), né nell’ elargizione degli aiuti economici (i cosiddetti ristori e le casse integrazioni), giunti a singhiozzo e in ritardo, né con la predisposizione di misure tempestive a fine estate per contenere la cosiddetta seconda ondata. Per non  parlare della vicenda tragicomica, che Strada conosce benissimo, dei commissari incaricati dallo Stato di supervisionare la sanità calabrese.

   

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)