Paola Claudia Scioli
È passato quasi un anno dalla chiusura delle scuole in tutto il nostro paese dovuta all’emergenza sanitaria per il diffondersi improvviso del Covid-19. Alunni e insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado stanno lentamente tornando alla tanto agognata normalità delle lezioni in presenza. Ma cosa ha significato, al di là delle polemiche e delle prese di posizione politiche, un anno di insegnamento a distanza? Degli effetti negativi, anzi catastrofici, hanno parlato in tanti. Manifestazioni in piazza di genitori e figli, occupazioni delle scuole fanno parte del gioco e non sono una novità, anche se sono cambiate radicalmente le motivazioni rispetto a decenni fa. Forse sono anche meno convincenti. Esempi di buona scuola in DAD ce ne sono comunque stati.
Si è detto molto sul fatto delle gravi perdite dal punto di vista contenutistico e dei danni psicologici sulla popolazione studentesca. E certamente la didattica a distanza non può durare a lungo e sostituire la didattica in presenza per studenti di qualsiasi età. Questa esperienza forzata non è stata proprio tutta negativa. Possiamo vedere qualche aspetto positivo in quello che è successo nell’arco di questo sfortunato anno bisestile. L’impressione generale è che, a distanza o in presenza, chi ha voglia di impegnarsi, chi ha curiosità e interesse per ampliare le proprie conoscenze, chi ha la passione per la propria missione educativa non si fa spaventare da nulla e si ingegna per raggiungere il suo obiettivo a qualunque costo e con qualunque mezzo. Certo è più faticoso stare davanti ad uno schermo per ore a fare o seguire le lezioni.
Sicuramente è più difficile mantenere alta l’attenzione e costruire una partecipazione circolare e coinvolgente rispetto a temi che non sempre sono interessanti per tutti allo stesso modo. Tuttavia, esempi di buona scuola anche in DAD ce ne sono stati molti, a dispetto di chi, a tutti i costi, vuol far vedere che il nostro sistema scolastico fa acqua da tutte le parti, come un colabrodo. Purtroppo l’organizzazione non è sempre il nostro punto di forza, ma la creatività sì. Lo scorso marzo la didattica a distanza (DAD) ha aperto un nuovo scenario nell’istruzione: la maggior parte dei docenti e degli allievi delle nostre scuole si è trovata catapultata dall’oggi al domani nella dimensione virtuale, che li ha costretti a reinventarsi e a confrontarsi con un utilizzo massivo delle tecnologie alle quali non sempre erano abituati. Essere “nativi digitali”, come consideriamo la generazione dei nostri figli, non vuol dire che i giovani siano pronti o predisposti a utilizzare le tecnologie per studiare e per mettersi alla prova su un terreno diverso da quello del gioco, delle relazioni sociali e del divertimento. Ma la risposta di molti docenti è stata sorprendente e non solo quella dei più giovani come dimostra l’esperienza dell’ITET “Leonardo da Vinci” di Milazzo in Sicilia (https://www.davincimilazzo.edu.it/), guidato dalla Dirigente scolastica Prof.ssa Stefania Scolaro. Pur con alcune difficoltà di ordine pratico legate alla disponibilità di una rete internet abbastanza potente e alla mancanza di familiarità con i moderni programmi di video-conferenze, all’indomani del lockdown i docenti di questa scuola si sono organizzati con le piattaforme in voga fra gli studenti.
Instagram, Skype, WhatsApp sono stati i primi strumenti utilizzati per non perdere il contatto quotidiano con loro fino a quando programmi migliori sono stati acquistati e resi disponibili. La grande flessibilità e la capacità di adattamento di studenti e docenti è stata in questo caso la dimostrazione palese del fatto che, in emergenza, la didattica anche a distanza funziona, nonostante i limiti in relazione all’efficacia degli apprendimenti, al carico di lavoro e all’inclusione, che può venire meno nel momento in cui anche un solo allievo non riesce per problemi tecnici a partecipare alle lezioni. E se, da un lato, questa formula di insegnamento ha posto delle barriere tra persone abituate a vivere un’esperienza formativa e di crescita insieme, dall’altro, ha favorito l’avvicinamento virtuale delle persone che hanno sperimentato nuovi modi di collaborare e aiutarsi reciprocamente, facendo squadra più che mai. Non meno positiva è stata la consapevolezza degli insegnanti di saper adeguare e orientare in modo opportuno la loro didattica verso forme e modalità differenti, con potenzialità che le prassi consuete non
permettono. Di certo c’è, comunque, che in poco tempo, durante questa emergenza, tutti, ragazzi e adulti, hanno imparato moltissimo delle nuove tecnologie e di tutte le possibilità di utilizzo “buono” dei dispositivi tecnologici, non soffermandosi solo a demonizzare sistemi che – ed è un dato di fatto – fanno ormai parte della nostra quotidianità e che, se ben gestiti e governati, possono essere utilizzati come validi strumenti per l’apprendimento e per la crescita, ma sempre nell’attività reale di peer to peer tutoring. Tornando sui banchi di scuola, meglio senza rotelle, questa esperienza potrebbe essere utile per integrare l’insegnamento tradizionale e rendere la scuola più moderna e dinamica.