*Pier Carlo Sommo
La comunicazione è da tempo ormai scienza universitaria, mestiere e non improvvisazione. Oggi troppi credono di essere comunicatori. Tra gli illusi, spesso politici e amministratori pubblici, c’è chi crede che la comunicazione della politica, spesso propaganda, sia la stessa cosa della comunicazione pubblica istituzionale. La comunicazione pubblica, specialmente in un momento di emergenza come l’attuale, dovrebbe avere un disegno strategico e condurre la cittadinanza a stabili comportamenti positivi. È inutile, e sul medio termine dannosa, se stimola comportamenti effimeri e di breve durata, che è poi la sostanza della comunicazione politica, prevalentemente orientata al consenso del momento. In questo marasma pandemico, ai problemi di una comunicazione pubblica in generale, frammentata e poco chiara, si aggiunge anche la confusione tra testimonial e influencer, che non sono la stessa cosa.
Testimonial è un termine inglese ripreso in italiano e altre lingue nell’ambito della comunicazione e della pubblicità. In Italia indica un procedimento che associa l’immagine e la testimonianza di una persona considerata rappresentativa (un esperto, una celebrità, un opinionista, un consumatore con immagine di rilievo) a una causa o a un prodotto per rafforzarne la credibilità. Il testimonial di regola è un personaggio celebre che, nell’ambito di una campagna pubblicitaria, attesta le caratteristiche positive di un prodotto o un servizio, facendosi indirettamente garante della qualità e della credibilità della promessa contenuta nel messaggio pubblicitario. Ma non sempre i testimonial sono efficaci a causa di errori o usi impropri.
I prodotti e servizi sanitari sono uno dei principali segmenti dove le testimonianze mantengono una certa efficacia, a patto che il testimonial sia di rilievo e credibile (medico conosciuto, scienziato, politico di solida immagine e fama di serietà). Per ridurre il rischio di avere effetti negativi sull’elemento pubblicizzato bisogna assolutamente selezionare e utilizzare con cura i testimonial.
Nel campo della comunicazione pubblica, e quindi in connessione ai problemi di comunicazione dell’attuale pandemia, si tratta di scegliere un personaggio noto, ben riconoscibile dal grande pubblico. Il candidato ideale deve dunque possedere notorietà, ma anche la competenza e connessione diretta o indiretta, ma valida, a quanto pubblicizza. Il testimonial è poi efficace se utilizzato in un piano strategico di comunicazione creativo ed idoneo, che sottolinei il legame a quanto pubblicizzato. Rispetto al campo privato, nel pubblico è meno rilevante il problema che il personaggio troppo forte possa togliere visibilità alla marca, cioè che il consumatore tenda a focalizzarsi sul protagonista e non ricordare la marca stessa di quello che sponsorizza.
Veniamo all’influencer. È un personaggio nato con la Rete, ha la capacità di influenzare mediante i social media i comportamenti e le scelte di un determinato gruppo di utenti o potenziali consumatori, quindi utile nell’àmbito delle strategie di comunicazione e di marketing. I brand si stanno notevolmente avvalendo del supporto degli influencer nelle proprie strategie di comunicazione. Gli influencer sono diversi dagli opinion leader del passato, perché è in parte diversa la dinamica comunicativa. I media lanciavano gli opinion leader che a loro volta influenzavano le masse. Oggi con i social media la massa ha anche la possibilità di interagire con gli influencer. Secondo un rapporto del gennaio 2020, in Italia sono quasi 50 milioni le persone on line ogni giorno, e oltre 35 milioni sono attive sui canali social, vale a dire più del 58% della popolazione.
Questi utenti dei social media guardano con ammirazione agli influencer e si fanno guidare nel loro processo decisionale. Gli influencer sui social media sono persone che si sono costruite una reputazione (spesso effimera) per le loro conoscenze e competenze su un argomento specifico. Pubblicano sistematicamente post sul loro argomento sui loro canali preferiti e generano un seguito di persone che prestano molta attenzione ai loro punti di vista.
Nella comunicazione pubblica legata all’ attuale pandemia servono opinion leader di pensiero influenti, seri e solidi. C’è esigenza di personaggi che si sono guadagnati il rispetto per le qualifiche, posizione o esperienza sul tema della loro competenza. Il rispetto è guadagnato anche in relazione alla reputazione del luogo in cui lavorano, università o strutture scientifiche di chiara fama, ad esempio. Questa tipologia di opinion leader, utile alla comunicazione pubblica, include giornalisti, accademici. esperti del settore, consulenti professionali. La linea di demarcazione tra i media tradizionali e i social media non è così rigida e quindi bisogna sfruttare questa permeabilità, perché spesso i principali opinion leader hanno costruito la loro reputazione in un ambiente off line, bisogna riuscire a ribaltarla sui social.
Gli influencer, di regola, hanno costruito la loro reputazione online, poiché esperti in qualche particolare nicchia; sono solo simili agli opinion leader, in quanto hanno guadagnato la loro reputazione in modo spesso informale, grazie alla loro attività on line. Questi influencer hanno buone capacità di comunicazione e di coinvolgimento con il loro pubblico, ma la comunicazione pubblica, specialmente in relazione alla pandemia, necessita basi più solide.
Gli attacchi nel campo della comunicazione portati nel corso dell’attuale pandemia, in vari modi, da no-vax, negazionisti e altre categorie di irresponsabili sono insidiosi e richiedono una risposta decisa, scientificamente e socialmente seria e solida. Per cui sono indispensabili studiosi e professionisti della comunicazione qualificati che affianchino solidi testimonial. Non è da escludere in assoluto l’uso di influencer, ma bisogna utilizzarli in via secondaria e con molta attenzione.
Con il neologismo infodemia è stata definita la “Circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili” (da Enciclopedia Treccani). Il termine è stato pienamente adottato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha rimarcato che il maggiore pericolo della società globale nell’era dei social media è la deformazione della realtà negli echi e dei commenti della comunità globale su fatti reali o spesso inventati. Di conseguenza contro le fake news l’organizzazione mondiale della Sanità ha deciso che diramerà solo informazioni basate sull’evidenza.
Heidi Tworek, docente presso l’Università della British Columbia in Canada. ha sottolineato che “le comunicazioni in una crisi di salute pubblica sono cruciali quanto l’intervento medico… in effetti, le politiche di comunicazione SONO un intervento medico“. È da aggiungere che sono sì, un intervento medico, ma non devono essere gestite solo dai medici, bensì anche e unitamente dagli specialisti della comunicazione che li devono sempre affiancare. Purtroppo in Italia, Paese gravemente infestato da “tuttologi” e dilettanti tale carenza è evidente e visibile ogni giorno, sia a livello di governo centrale che locale…
*Pier Carlo Sommo – Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso le Università di Torino e Cattolica Roma .