Dario Gedolaro
Un governo ”dragocentrico”. Questa l’impressione a caldo. Il premier non ha voluto politici troppo ingombranti, punta su se stesso e sui tecnici. Come spiegare altrimenti alcune riconferme? Da Franceschini a Speranza, da Patuanelli a Di Maio. Sì, anche il Di Maio ministro degli Esteri che, come dice Antonio Polito sul Corriere della Sera, “con Draghi premier avrà ampia autonomia sull’Oceania”. Basterà dunque un Premier forte per rilanciare il Paese?
Le aspettative erano un pochino più alte: Zingaretti, che non finisce mai di stupire con i suoi slogan da “uomo qualunque”, aveva parlato di “governo dei migliori”, ci si attendeva facce nuove, un po’ meno ministri “politici” (ce ne sono 15), più discontinuità. E così faccio mio il timore di Polito: “Quanto di questo Cencelli autoimposto frenerà il cambiamento annunciato?”.
È vero, ci sono alcuni tecnici di alto profilo (a cominciare da Colao) e c’ è Draghi, ma alla fine il lasciapassare te lo dà sempre il Parlamento, dove il partito di maggioranza relativa (M5S) ha il mal di pancia. Purtroppo la situazione è quella che è, o meglio è quella in cui si sono cacciati gli italiani e così da Vespa si sente un deputato 5 Stelle che paragona Grillo a Draghi (“è stato un confronto fra due grandi personaggi”) e viene da ridere, se non da piangere. Non c’ è limite al peggio. D’altronde, ripeto, sulla politica italiana pesa quel macigno del 32% al partito di un guitto imprestato alla politica. Di un cafone che non ci risparmia le parolacce (“vaffa…”) neppure quando fa l’appello ai suoi perché votino il governo Draghi e così salvino il vitalizio.
Quasi a esorcizzare una possibile, ennesima rapida crisi ci si aggrappa al “semestre bianco”, quando il Capo dello Stato non potrà scogliere le Camere, ma non vorrei che il semestre bianco diventasse il “semestre nero” del governo in cui tutte le forze politiche si sentiranno libere di fare i capricci, pensando che tanto non si perde il posto. Draghi saprà reggere alle imboscate parlamentari su questo o quel provvedimento? Forse sono solo elucubrazioni dovute alle follie della politica italiana, una politica in cui si fanno affermazioni categoriche – come la celebre frase di Zingaretti ai suoi: “Vi assicuro che mai e poi mai il Pd farà un’ alleanza con i 5 Stelle” – per poi smentirle un minuto dopo.
Non c’ è dubbio che la coalizione politica che regge il governo sia una “marmellata”, come Diego Novelli definì il raggruppamento che sosteneva la candidatura di Valentino Castellani a sindaco di Torino. Ma la “marmellata” di Castellani resse per due legislature. Comunque, si può realisticamente sperare in un cambio di passo rispetto all’inconcludente governo Conte bis e al catastrofico Conte 1, sapendo però che – come ha sottolineato il Governatore della Banca d’ Italia, Ignazio Visco – i problemi del nostro paese sono così numerosi e aggrovigliati che nessuno possiede la bacchetta magica.
Chi se n’è tirata fuori è Giorgia Meloni, che si è presa in esclusiva il ruolo di oppositore, pensando che ogni grande coalizione, anche la più allargata, crea sempre qualche dissenso. Un dissenso che potrebbe via via crescere se i vaccini continueranno ad andare a rilento, la burocrazia continuerà ad essere una palla al piede, la ripresa economica a tardare con conseguenze gravi sull’occupazione, gli sbarchi di clandestini a fare infuriare Salvini. Fratelli d’ Italia già in primavera potrebbe raccogliere il frutto di questo suo distinguo nelle elezioni amministrative delle grandi città. Ma anche il partito di Silvio Berlusconi ha dato segni di risveglio nei sondaggi: ha vinto la partita Draghi, è tornato in gioco, ha dimostrato moderazione e in Italia il centro moderato ha sempre rappresentato un grande serbatoio di voti.
Per ora fermiamoci qui e auguriamo buona fortuna al governo Draghi, ne avrà bisogno.
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