Carola Vai
Noi a maggio riapriamo. E non chiudiamo più. E’ la volontà annunciata da molti imprenditori del terziario, commercio e Confcommercio di tutta Italia. Del resto dopo aver vissuto un anno senza poter lavorare, con aperture a singhiozzo causa Covid, molte piccole-medie imprese del terziario stanno affrontando la paura del fallimento. Un danno che sta mettendo a rischio centinaia di migliaia di posti lavoro, mentre le chiusure non paiono aver determinato benefici importanti per la comunità. Il numero delle vittime in Italia dall’inizio della pandemia al 17 aprile 2021 ha infatti raggiunto lo spaventoso tetto delle 116.676 unità, con un’oscillazione frequente tra 300-500 unità ogni giorno.
Il lockdown – si sottolinea da più parti – non sembra dunque tutelare la vita umana, mentre uccide le piccole aziende. Basta un giro nelle strade di Torino, Milano, Roma, Napoli e tante altre città per scoprire un susseguirsi di cartelli con l’annuncio vendesi o affittasi, serrande abbassate e mendicanti che dormono davanti. Un gran numero di esercizi commerciali oscurati dai teli che coprono le vetrine, o le scritte “svuoto locali”. Allo stesso tempo crescono le vendite sia della grande distribuzione che dei colossi del web.
“Ogni giorno di chiusura è un grave colpo al sistema produttivo italiano. Il coprifuoco con il Covid non c’entra nulla. Dopo un anno di paralisi la situazione non è migliorata”, ripete da giorni Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. L’annunciata apertura parziale di bar e ristoranti non sta confortando. Rabbia, confusione e sfiducia serpeggiano tra ristoratori, commercianti, albergatori, locatori turistici, lavoratori del mondo dello spettacolo e delle palestre, piscine e centri estetici. Il poco pubblico che si è presentato davanti ai negozi riaperti con il ritorno in zona arancione in quasi tutta Italia è poco meno di un soffio dal punto di vista economico. Davvero uno strano paese l’Italia. Si preoccupa di perdite industriali con il conseguente calo di posti lavoro, e trascura il mondo del terziario, settore strategico per numeri, imprese e lavoratori coinvolti.
Il lento ritorno alla normalità in attesa delle riaperture annunciate dal premier Mario Draghi sta convincendo il settore – almeno le aziende sopravvissute – a riprendere l’attività. Ma anche a non chiudere più. Portare avanti in modo produttivo un ristorante, un bar, un negozio, o qualsiasi altra struttura commerciale, turistica o culturale richiede impegno e organizzazione. “Aprire un ristorante, un albergo, persino un negozio, non è come premere l’interruttore della luce. C’è tutto un meccanismo da avviare che varia da settore a settore, e richiede tempo e lavoro. Come si fa a non comprenderlo?” ha ripetuto molte volte Maria Luisa Coppa, presidente di Ascom Torino e Provincia Il forte calo del fatturato subito da tutte le strutture ha ridotto il settore alla disperazione. “Se fallisce la piccola- media impresa , fallisce l’Italia”, hanno ripetuto in tanti. Per tentare una vera ripresa, da più parti si invoca da settimane almeno una tregua fiscale per il 2021-2022. “Come possono farci pagare le tasse se non possiamo lavorare?” hanno chiesto i titolari di molte piccole imprese.
Oltretutto, mentre le chiusure causa Covid stanno danneggiando il terziario in numerosi casi in modo irreparabile, la grande distribuzione sta vivendo un periodo felice con un aumento del giro di affari in tutti i campi. Risultati in crescita pure per le vendite on line. “Se un tempo eravamo preoccupati dal dilagare della grande distribuzione, oggi siamo allarmati dai colossi del web che stanno depredando l’economia reale nella totale indifferenza dello Stato, della politica. Eppure le imprese del terziario pagano una robusta tassazione, Amazon molto, molto meno”, ha sottolineato Maria Luisa Coppa. Una situazione sempre più grave che dovrebbe quantomeno preoccupare politici locali e nazionali. Invece sembra lasciare indifferenti sia i governanti a livello comunale che regionale e nazionale. Eppure, come sottolineano associazioni, commercianti e piccoli imprenditori, è compito della politica intervenire e difendere l’economia reale. Le imprese del terziario fanno vivere il territorio, aiutano a difendere costumi, tradizioni, prodotti. Sono un modello di pluralismo imprenditoriale e distributivo, un tratto distintivo del Made in Italy. In pratica hanno un ruolo essenziale nella vita economica e sociale del Paese. Mantenere vitale il terziario (a cominciare dal turismo che “deve arrivare vivo” alla ripresa del traffico internazionale, dalla ristorazione, dal commercio al dettaglio, dalla cultura e dal tempo libero) significa difendere l’economia reale. Commercio, turismo e cultura, servizi, trasporti e logistica, lavoro autonomo e professioni costituiscono un sistema che nel tempo ha modificato il volto della nostra economia, rendendola sempre più terziarizzata, con l’impiego di migliaia di lavoratori. Un tessuto professionale che rischia in molti casi di scomparire dopo oltre un anno di paralisi determinando in tutta Italia una pesante povertà. Ma mentre al mondo del terziario non è permesso lavorare, alla grande distribuzione le limitazioni sono minime. Addirittura massima libertà e nessuna regola per i colossi del web impegnati nel commercio che, grazie alle restrizioni causa Covid, hanno conquistato fette di mercato ovunque, realizzando enormi guadagni.
Prima della fine di questa tragica esperienza è indispensabile individuare regole di equilibrio tra i diversi operatori del mercato.
vedi anche.
http://www.viavaiblog.it/coronavirus-piccole-medie-imprese-a-rischio-svendita-a-stranieri/