Dario Gedolaro
Una malattia sta dilagando nel mondo occidentale (in Italia in particolare) e non è il Covid: il giovanilismo. Si tratta di quell’ ideologia per cui tutto ciò che pensano, dicono e fanno i giovani è oro colato e sicuramente giusto. E così assistiamo a proposte pseudoprogressiste come quella lanciata dall’ on. Letta di far votare i sedicenni, come se fossero maturi e pronti per scelte politiche consapevoli, ascoltiamo peana sui ragazzi dei Fridays for future, come se la coscienza e le battaglie ecologiche fossero nate con loro, leggiamo cervellotici commenti di autorevoli giornalisti secondo cui per i ragazzi d’ oggi “il riconoscimento dei diritti, della libertà di essere come si è, e non come si dovrebbe essere, non è nemmeno un tema…”. Portando, poi, a modello ideale di questa gioventù il gruppo vetero-rockettaro dei Maneskin, che in una loro canzone dicono: «Siamo fuori di testa ma diversi da loro» (nel gergo giovanile, quando uno è “fuori di testa”, o ha ecceduto con l’ alcool o ha assunto sostanze stupefacenti). Insomma viva lo “sballo”.
Sciocchezze ed esagerazioni sparse a piene mani. E’ vero che purtroppo i mezzi di comunicazione di massa (tv, radio, internet, social) spingono il pianeta giovani verso un appiattimento sui peggiori modelli anglosassoni, creano falsi miti e falsi bisogni. Il filosofo americano Marcuse ha definito per primo questa tendenza col nome di “consumismo”, criticando la moderna “società industriale” che in questo modo cerca di attuare una forma di controllo sociale. Nel suo libro più famoso – “L’uomo a una dimensione” – sostiene che il consumismo spinge verso un universo “unidimensionale” di pensiero e comportamento, in cui l’attitudine e l’abilità per il pensiero critico e il comportamento di opposizione si allontanano.
Sul piano politico direi che l’ ideologia più coerente col consumismo è il moderno radicalismo, che – come denuncia anche la sinistra più tradizionale – si concentra sui cosiddetti “diritti civili” e trascura i più scomodi “diritti sociali”. Sarebbe la deriva su cui sta andando il Partito Democratico, accusato di essere diventato il “Partito Radicale di massa”.
Tornando ai giovani è evidente che sono la categoria più influenzabile dai peggiori difetti del radicalismo: l’ individualismo, l’ edonismo spinto, la rivendicazione di “capricci” come se fossero diritti. Non è un mistero che le organizzazioni del volontariato denuncino da tempo la difficoltà di avere nelle loro fila dei giovani, né che videogiochi, apericena con “malamovide” e contorno di ubriachezze moleste, schiamazzi e uso di sostanze stupefacenti siano una forte attrazione per molti ragazzi.
E così un diritto sarebbe, ad esempio, partecipare a rave party con migliaia di coetanei che non solo se ne infischiano delle norme sanitarie e di sicurezza di ogni genere, ma danzano per 30-40 ore di seguito sballandosi con alcol e droghe (non è un’esagerazione, basta leggere le cronache di questi giorni su ciò che è accaduto a Borgaretto nel torinese). E che dire delle manifestazioni razzistico/fasciste di movimenti di estrema destra come “Forza Nuova”, con larga partecipazione di giovani, o delle occupazioni abusive e dei cortei sempre più violenti attuati dai giovani dei Centri Sociali?
Insomma, di nessuna generazione si può dire che sia un modello di virtù, tanto meno dei giovani.
E allora invece di cercare di strumentalizzarli, magari per giustificare i propri comportamenti egoistici o le proprie convinzioni più bislacche, sarebbe meglio che gli adulti facessero quello che si dovrebbe sempre fare: dare loro una buona preparazione scolastica, che vuol dire anche sviluppare in loro lo spirito critico, insegnare l’ educazione civica, proporre modelli positivi che si basino sull’ altruismo e sull’ assunzione di responsabilità anche sociali. Educazione, ad esempio, a mettere su famiglia (che non vuol dire solo sposarsi) per procreare e permettere quel rinnovamento generazionale messo in grave pericolo dalla denatalità dilagante e indispensabile per le politiche di welfare. Al giorno d’ oggi, sosteneva Ritanna Armeni su Il Foglio, le ragazze non fanno figli non solo per motivazioni economiche, ma anche psico-culturali: l’incapacità di portare avanti relazioni stabili, la paura dei sacrifici che un figlio comporta, la voglia di rimanere eterne adolescenti. E lo stesso discorso vale per i maschi.
Basta dunque con la propaganda e si torni alla realtà. E basta criminalizzare coloro che non la pensano come vorrebbe il conformismo progressista. Leonardo Sciascia diceva che “i comunisti fanno di un’idea una parola, di una parola un cappio e ci impiccano coloro che non sono dello stesso parere”. Mi pare che una certa “sinistra radicale” faccia altrettanto.