Dario Gedolaro
Siamo davvero un paese di poveri diavoli? A prendere per buone le cifre ufficiali emerge l’immagine di un’Italia caratterizzata da una imponente massa di persone indigenti e di famiglie che faticano ad arrivare a fine mese. I calcoli sull’ingente evasione fiscale (il cosiddetto tax gap, che è stimato ad oltre 100 miliardi di euro) spingono, però, a ritenere che i guadagni degli italiani siano in buona parte sottostimati. I numerosi indicatori sui consumi, sugli stili di vita e lo stesso andamento dei conti correnti bancari della stragrande maggioranza delle famiglie fotografano una realtà diversa. E i ricchi? Sarebbero quelli che guadagnano più di 50 mila euro lordi l’anno (poco più di 2 mila euro netti al mese).
Qualche settimana fa Alberto Brambilla, sul Corriere della sera, ha scritto un articolo dall’ eloquente titolo: ” Irpef, chi paga davvero le tasse in Italia tra finti poveri e ricchi immaginari”. Brambilla, riporta le cifre di uno studio del centro di ricerca economico/sociale “Itinerari previdenziali”: 34,1 milioni di italiani, poco più del 57% del totale degli abitanti, denunciano redditi fino a 20 mila euro lordi l’anno e pagano 14,7 miliardi di Irpef pari all’8,35% del totale d’imposta. In dettaglio, su 41 milioni 526 mila cittadini che hanno inoltrato la dichiarazione dei redditi, dieci milioni hanno dichiarato di aver guadagnato in un anno redditi che vanno da situazioni negative a un massimo di 7.500 euro l’anno (per pagare l’Irpef bisogna superare la soglia degli 8 mila euro l’anno). Sono dati realistici? “Difficile pensare che gli abitanti di un Paese del G7 vivano come quelli di un Paese del Nord Africa”, sostiene Brambilla.
Come si giustificano, ad esempio, i quasi 40 milioni di auto (solo il Lussemburgo ha più macchine di noi nella Ue) e i 77,71 milioni di connessioni telefoniche “mobili” (il 128% degli abitanti)? Per non parlare dei 125 miliardi spesi per il gioco d’ azzardo. I dati ci dicono anche che il 71,5% di tutta l’Irpef è a carico del solo 21% dei contribuenti. Fra l’altro, coloro che dichiarano redditi lordi sopra i centomila euro (in Italia si parla sempre di lordo, il netto di 100 mila euro è pari a circa di 52 mila euro) sono soltanto l’1,21%, pari a 501.846 contribuenti che tuttavia pagano il 19,56% dell’Irpef. Sulla scorta di queste cifre, due domande: sono soltanto i ricchi ad evadere? O siamo in presenza di una evasione di massa? Se, come pare evidente, siamo in presenza di evasione di massa, una considerazione non di poco conto è che gli evasori usufruiscono di una parte non marginale di quei 144 miliardi di spesa a carico della fiscalità generale per l’assistenza (una cifra che ha raggiunto l’importo delle pensioni, al netto della fiscalità), a cominciare da quella sanitaria, poi ci sono tutti gli altri servizi forniti da Stato, regioni, comuni, comunità montane, e via dicendo.
In questa situazione il governo ha varato una miniriforma della tassazione che partirà dal prossimo anno e che riduce da 5 a 4 le aliquote. Non emergono risparmi tali da poter incidere particolarmente sui bilanci familiari, anche perché dal 2022 andrà a regime l’Assegno Unico Familiare, che prevede l’assorbimento con conseguente taglio delle detrazioni per i figli a carico, oltre a quello degli assegni al nucleo familiare. Un esempio: in una famiglia con un solo reddito di 30 mila euro lordi, il risparmio sarebbe di 300 euro l’anno. Quello che appare un po’ come una beffa è l’aumento dell’aliquota Irpef per chi ha “redditi alti” e cioè supera la soglia dei già citati 50 mila euro l’anno (sempre lordi si badi bene): si passa dal 41% al 43%. E infatti il governo si è affrettato a dire che si agirà sulle detrazioni (non si sa ancora come) per non penalizzare questa fascia di contribuenti. Senza dimenticare che il bonus Renzi-Gualtieri (per chi guadagna fino a 39 mila euro l’anno lordi) scomparirà. Insomma, l’economista Natale Forlani dice sconfortato: “Definire la proposta del governo come un modello di redistribuzione equa del reddito, come si affannano a dichiarare numerosi politici, appare un poco esagerato. Semmai è l’ennesima conferma che stiamo disegnando delle riforme fiscali, analogamente a quanto avviene per quelle messe in campo per il mercato del lavoro e per contrastare la povertà, sulla base di un Paese immaginario lontano dalla realtà”.
Eppure, visto che si voleva ridurre la pressione fiscale sulla cosiddetta “classe media”, qualche proposta alternativa c’era. Una in particolare l’aveva fatta la categoria che di Irpef più se ne intende: i commercialisti. Non molto tempo fa avevano detto che il governo avrebbe dovuto ridurre, sì ridurre, da 5 a 4 le aliquote, ma abolendo quella del 38% sui redditi fra i 28.000 euro e 55.000 euro lordi, “la quale appare più espropriativa che progressiva. Al costo finanziario di 9 miliardi di euro, sarebbe possibile espandere quella del 27% fino a 55.000 euro”. Naturalmente, come troppo spesso accade in Italia, la politica, tra ignoranza, demagogia e mediazioni esasperanti, ignora il parere degli esperti.