Dario Gedolaro
Non si può dire proprio che il neo sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, e la sua giunta abbiano esordito con il piede giusto: la prima significativa iniziativa da quando sono in carica è l’aumento dell’Irpef comunale che colpirà una bella fetta di torinesi.
“Non potevo fare altro”, si è giustificato il sindaco, annunciando, udite udite, che il maggiore introito dell’Irpef (100 milioni, che ovviamente escono dalle tasche dei cittadini) consentirà fra l’altro di fare “nuove assunzioni per svecchiare l’apparato comunale”.
Mi spiace, ma quella delle assunzioni nella pubblica amministratore è una nota dolente, molto dolente, perché a sentire i sindacati di quelle categorie si è sempre sotto le famose (e sopravvalutate) “piante organiche”, poi però quando un sindaco (Appendino) cerca di trasferire una manciata di dipendenti comunali agli uffici dell’ anagrafe per dare una soluzione allo scandaloso ritardo nella sostituzione delle carte d’ identità scadute (che per molte categorie servono per lavorare, si badi bene), apriti cielo! Si va a lavorare sul serio e nessuno accetta il trasferimento (per altro sempre nel perimetro del Comune di Torino, non in Siberia).
Lo Russo ha scelto una strada comoda e spiccia, avvalorando l’accusa al Pd di essere “il partito delle tasse”. D’ altronde, analoga operazione fece il suo compagno di partito, il presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, portando l’Irpef regionale ai livelli massimi. Secondo un calcolo fatto dalla Uil, e riportato da La Stampa, a Torino una famiglia di quattro persone (con due figli minorenni) e reddito complessivo di 44 mila euro, una casa di proprietà, paga quasi 3 mila euro di tasse locali. È il valore più alto dopo Roma, dove si arriva a 3.028 euro. Inoltre, si sa che le Irpef locali sono cresciute in modo esponenziale: in dieci anni (tra il 2010 e il 2020) + 52%. Non solo, Lo Russo non ha tenuto in nessun conto l’aumento vertiginoso delle bollette già registrato nel primo trimestre di quest’anno, nonostante i forti investimenti messi in campo dal governo: rispetto al 2021 la luce è rincarata del 131%, il gas del 94%. Per non parlare dell’aumento di benzina e metano. Con la conseguenza, fra l’altro, di un forte rincaro dei generi alimentari.
Dunque lasciamo perdere le “scuse”, che Lo Russo si è affrettato a porgere ai cittadini, perché un politico – e non un ragioniere – per rimettere in ordine in qualche misura i conti del dissestato bilancio comunale torinese avrebbe dovuto esaminare tutte le strade alternative possibili e immaginabili (tagli di costi del personale, ma anche rinvio di spese varie, ad esempio).
Se, comunque, ci troviamo in situazione di “predissesto”, come ha detto il sindaco, la colpa non è certamente dei cittadini. A quanto pare molti guai sono da attribuirsi alle Olimpiadi del 2006, dove – ai tempi del sindaco Chiamparino – si scialacquò. Le spese ammontarono a oltre 3,5 miliardi, quando nel dossier di candidatura, presentato nel 1998, erano stimate in circa 500 milioni di euro. Insomma, proprio il contrario di quel che farebbe un buon padre di famiglia. E così se nel 2001 il debito del Comune era di circa 1,7 miliardi di euro, nel 2007 era salito a 2,98 miliardi. Nel 2011, a 5 anni dai Giochi, fra i buchi di bilancio del Toroc, il comitato organizzatore, e le perdite derivanti dagli impianti olimpici abbandonati l’eredità delle Olimpiadi 2006 pesava ancora per 300 milioni. Si sarebbe potuto risparmiare? Beh, certamente non bisognava spendere centinaia di milioni di euro per ristrutturare lo stadio Comunale (avrebbe dovuto farlo l’allora presidente del Torino Calcio, Cimminelli, ma fallì a metà dell’ opera e gli subentrò il Comune, quando aveva un altro stadio a disposizione, il Delle Alpi), non si sarebbero dovuti costruire i trampolini di Pragelato (ora già smantellati), visto che i francesi di Albertville (a un’ ora di auto da Bardonecchia) avevano offerto i loro, né la pista di bob (abbandonata), rifiutando l’avance della Regione Valle d’ Aosta che offriva il rifacimento a sue spese di quella di Cervinia.
Per giustificare in qualche modo la “mini stangata”, l’assessore comunale a Bilancio, Gabriella Nardelli, ha detto seraficamente che l’aumento dell’aliquota a livello comunale (da 45 a 500 euro) sarà più che compensato dalla riduzione dell’Irpef a livello nazionale. Insomma, con una mano lo Stato restituisce (non dimentichiamo mai che il carico fiscale italiano è tra i più pesanti al mondo) e con l’altra gli enti locali riprendono. Bella logica.