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Carola Vai

Torino è la città dei musei straordinari e unici. Basta citare i più famosi a livello internazionale: il museo Egizio, quello del Cinema, il museo dell’automobile, quello della Santa Sindone. Ed ora il Museo del Cioccolato e del Gianduja, chiamato Choco Story Torino, il primo d’Italia.  La struttura è ospitata negli ex laboratori sotterranei della pasticceria Pfatisch sotto i portici di via Sacchi 38, a pochi metri dalla stazione ferrovia di Porta Nuova. Pfatisch nata oltre cento anni fa, nel 1915, ha conservato, ed ora espone, i macchinari originali di fine ‘800. Il Museo, è un misto di tradizione, storia, industria, tecnologia, e pure di eleganza, come rivelano le tazze per bere la cioccolata in carrozza senza rovesciarla, e quelle per non sporcarsi i baffi.

Scritta all’entrata del Museo

Il Museo distribuito su 1200 metri di percorso raggiungibile sia attraverso le scale che in ascensore, punta a svelare il mondo del cioccolato dalle origini ai nostri giorni. Dunque parte dalle origini legate ai Maya, quando il cacao era utilizzato per le sue proprietà curative, passa attraverso l’arrivo nel mondo occidentale, per giungere ai Savoia che fecero scoprire l’alimento ritenuto esotico ai torinesi durante i festeggiamenti del trasferimento della capitale ducale da Chambery a Torino, dando così inizio al legame affettivo tra il cioccolato e la città. Per oltre un secolo il prodotto venne consumato solo in forma liquida. Poi la passione per la miscela sollecitò la fantasia dei cioccolatieri.

Da destra: i giornalisti e scrittori Gigi e Clara Padovani, e l’imprenditore Eddy Van Belle

Nella capitale sabauda nacquero una serie di specialità come, nel Settecento, il Bicerin, bevanda calda a base di caffè, cacao, crema di latte. A inizio ‘800 il fantasioso Paul Caffarel creò il primo impasto solido di cioccolato a cui seguì la creazione della pasta Gianduja con l’unione della Nocciola Tonda Gentile delle Langhe.  Nel 1865 arrivò il Gianduiotto, creato da Michele Prochet, primo cioccolatino ad essere incartato. E tanto altro. Il cioccolato liquido e solido finì sulle tavole di ricchi e meno ricchi.  Ad esempio, il conte Cavour usava iniziare le sue giornate lavorative con una cioccolata fumante. Tra i personaggi appassionati del gustoso prodotto anche gli scrittori Alessandro Manzoni, Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e tanti altri.

Il taglio del nastro di inaugurazione del museo con il sindaco Lo Russo e Gianduja, l’avv. Marco Raiteri

Lo storico legame tra il cioccolato e Torino sollecitò spesso l’idea di un museo, ma solo a parole. Il progetto prese forma quando Francesco Ciocatto, proprietario di Pfatisch che quasi quattro anni fa rilevò la pasticceria salvandola dal fallimento, incontrò l’imprenditore belga Eddy Van Belle “collezionista” di musei del cioccolato tanto da aver aperto il primo 20 anni fa, nel 2004, a Bruges, in Belgio, poi Parigi, Praga, Libano, Messico ed altri paesi.

Eddy Van Belle, ideatore del marchio Belcolade, cioccolato per professionisti e pralinati, 83 filiali del mondo, oltre 3 miliardi di fatturato, in un primo momento pare aver pensato di aprire il museo a Firenze, città frequentata da milioni di turisti. L’incontro con la famiglia Ciocatto, la scoperta delle macchine ottocentesche ancora funzionanti di Pfatisch, il fatto che Torino sia la patria del gianduiotto e la capitale indiscussa del cioccolato, come spiegarono i giornalisti e scrittori Clara e Gigi Padovani, autori di vari libri sul settore, tanto esperti da avere una targa con i loro nomi all’entrata del nuovo Museo, convinsero l’imprenditore belga a scegliere la città della Mole Antonelliana per la sua nuova avventura.

Le macchine in mostra nel museo.

Con un investimento di 2 milioni di euro, interamente privati, il Museo, inaugurato alla presenza del sindaco Stefano Lo Russo, aperto tutti i giorni, domenica compresa, dalle ore 10 alle 17, con il pagamento di 12 euro per il biglietto, consente un tuffo tra passato e presente. Spesso in modo interattivo attraverso attività varie, video, installazioni, giochi multimediali, quadri animati, una sala salute con un “alter ego” del visitatore che spiega i benefici del cioccolato. Un museo divertente, istruttivo, adatto a tutte le età, e insieme storicamente corretto.

Gianduia l’avv. Marco Raiteri e Stefania Ciocatto

La struttura nella prima parte ripropone, con varie correzioni, il format esistente in quelli già aperti da van Belle. Attraverso l’aiuto di un’audioguida in cinque lingue, su misura anche per visitatori junior, l’esposizione inizia con la storia sulla coltivazione del cacao, poi la storia dei Maya e degli Aztechi, il galeone spagnolo che trasporta il cacao in Occidente con tanto di finestra che si affaccia sull’oceano, ricette varie. Si scoprono anche 700 oggetti collezionati negli anni da Monsieur Van Belle, tazze, cioccolatiere, scatole e attrezzi. Non manca il racconto sull’invenzione del gianduiotto, il costume originale del protagonista del Carnevale, Gianduja, concesso dalla Famija Turineisa, e la Linea del tempo con i cioccolatieri piemontesi in ordine di fondazione.

Topolino di cioccolato

Presente pure la carrozza all’interno del quale Emanuele Filiberto di Savoia festeggiò il matrimonio con l’infanta di Spagna bevendo una tazza di cioccolato fumante. Molto spazio è occupato dalle macchine che imponevano 40 addetti e coprivano tutte le fasi della lavorazione del cioccolato: dalla tostatura del cacao alla separazione del frutto dalle bucce, dalla trasformazione in pasta del cacao e i pani con il mescolatore, per passare alla colatrice necessaria per versare il cioccolato negli stampi. E infine la raffinatrice, poi le conche indispensabili a rendere il cioccolato fluido ed eliminarne l’acidità.

La visita termina con una dimostrazione su come nasce un gianduiotto ed una gradevole  degustazione. Ma l’uscita dal Museo porta all’interno della pasticceria Pfatisch consentendo di scoprire un locale che ha mantenuto l’aspetto pressoché com’era all’origine.

 

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)