Dario Gedolaro
La vicenda italiana del Superbonus edilizio 110% è emblematica e conferma quanto impicciona e intralciante sia una certa burocrazia ministeriale italiana, dai cui cervellotici suggerimenti dipendono troppo spesso decisioni improvvide dei politici.
Il percorso del Superbonus 110% – varato nel 2020 dall’allora ministro Roberto Gualtieri per rilanciare l’economia fiaccata dal Covid – ha avuto infatti sin dall’ inizio un percorso tortuosissimo. Per mesi non sono stati emessi i cosiddetti chiarimenti che rendevano operante la legge, poi l’ Agenzia delle Entrate ha dato pareri contradditori (in alcuni casi smentendo anche se stessa) sulle condizioni necessarie per ottenerlo, infine ha fatto pressioni per mettere limitazioni paralizzanti. Insomma, in due anni il governo e il parlamento sono dovuti intervenire ben 9 volte per correggere la legge (ed è scontato ormai il decimo intervento). Un esempio: quando a fine 2021 si decise di prorogare il Bonus, ci si dimenticò dei cosiddetti “lavori trainati”, citando soltanto i lavori “trainanti”, che in molti casi da soli non permettono agli edifici di salire di due classi energetiche e quindi di utilizzare il beneficio. Erroraccio corretto poi dal parlamento.
L’ ultimo provvedimento, che ha suscitato un mare di contestazioni e polemiche, è stato quello contenuto nel Decreto Sostegni Ter, che ha limitato a una sola volta la possibilità di cedere i crediti maturati col 110% e con gli altri bonus casa. Decisione tanto improvvida da avere spinto grandi istituzioni come Cdp (Cassa Depositi e Prestiti), Poste Italiane o Banco BPM a sospendere la piattaforma per la cessione del credito e da provocare il blocco di migliaia di cantieri edili. «Quel che è peggio è che la norma è retroattiva e dunque riguarda contratti già sottoscritti – ha spiegato Barbara Puschiasis, avvocato responsabile del settore consumer protection di Consumerismo – La situazione è grave e occorre intervenire subito, anche perché adesso ci sono moltissime aziende che rischiano di saltare in aria. Hanno milioni di crediti in pancia che non possono trasformare in liquidità e non possono pagare forniture e dipendenti».
Ma perché si è giunti a questo ennesimo pasticcio? In un’audizione al Senato sul Decreto Sostegni Ter (10 febbraio) il direttore dell’Agenzia delle Entrate, avvocato Ernesto Maria Ruffini, ha dipinto a tinte fosche il quadro dei bonus. Ha parlato di frodi per 4,4 miliardi euro e quindi della assoluta necessità di porre un limite draconiano alla cessione dei crediti ai vari intermediari (ma spesso le banche stesse li cedono a società del loro gruppo, ecco perché dopo il Decreto Sostegni Ter alcune hanno tirato, come si è detto, i remi barca).
Poi, a chiarire meglio il quadro è stato un “aggiornamento” (guarda un po’, un altro in questa vicenda dei Bonus edilizi) sulla memoria dell’Agenzia delle Entrate. Il ministro all’ Economia Daniele Franco ha precisato che al Bonus 110% è imputabile solo una piccola parte delle presunte truffe (il 3%) e che quasi la metà di quei 4,4 miliardi è ancora oggetto di “indagini in corso”.
La testata economica Milano Finanza ha commentato sconsolata: “Se ogni dieci giorni si presenta una modifica, alla fine gli interessati onesti gettano la spugna, mentre i manigoldi continuano imperterriti”.
E’ evidente che una norma come la cessione dei crediti dei Bonus edilizi doveva e deve avere un regime di controlli stringente per contrastare le frodi. In questo caso bastava disporre che la cessione dei crediti potesse essere operata soltanto attraverso intermediari finanziari vigilati dalla Banca d’Italia, così da monitorare il percorso del credito dall’origine all’utilizzatore finale. E infatti ora il governo ha preparato un emendamento che prevede proprio questo. Insomma, l’ennesima toppa per rimediare all’errore.
C’è però da domandarsi perché si è sparato nel mucchio, cercando di affossare quel “bazooka economico” studiato dal governo per rilanciare l’economia italiana. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva Andreotti. E allora, credo che una certa burocrazia non sia così solerte nel fare il proprio dovere e che quindi non abbia voglia di fare tanti “controlli stringenti”. Inoltre, fra i burocrati scatta il timore che certi benefici fiscali ad aziende e cittadini mettano a rischio le loro prebende, in quanto, come si sa, dipendono dalle tasse pagate dagli italiani.