*Ugo Marchisio
Eh sì! Parlando di epidemie e pestilenze, il Manzoni riaffiora inevitabilmente e questa famosissima citazione dai Promessi Sposi descrive, meglio di ogni altro commento, la necessità di riprendere ad andare avanti e, allo stesso tempo, l’incertezza su come procedere. L’incertezza non nasce solo dalle differenti posizioni espresse da politici, esperti, Governo e Governatori (regionali), tra di loro ed all’interno di ogni singola categoria: ce la portiamo dentro tutti noi, tormentati dal dilemma se riappropriarci impavidi delle nostre libertà o, più prudentemente, sfiorarle appena, con la punta delle dita, come si fa con una stufa accesa che potrebbe regalarti un piacevole tepore, oppure ustionarti la pelle. Con questo nuovo coronavirus, infatti, tutto è inedito e ogni mossa è un’avventura. Chi sbandiera ricette sicure e condanna senza appello quelle degli altri è solo ingenuo o in cattiva fede.
In queste poche righe mi limiterò, umilmente, a dare qualche risposta verosimilmente sensata, almeno dal punto di vista medico pratico, alle tante domande che mi vedo porre di continuo in questi giorni. E cominciamo con distanze e mascherine…
- Distanza: tutti pensiamo che dovrebbe essere quella, scientificamente misurata, a cui arrivano i virus emessi dalle vie aeree di una persona infetta. Con la semplice respirazione e l’atto di parlare, emettiamo delle goccioline-aerosol o “droplets”, studiate già a fondo da Carl Flügge nel 1897, che arrivano a 2 m circa; solo con la tosse violenta e gli sternuti si emettono conglomerati più pesanti che possono arrivare fino a 3 m circa. Ma questa fatidica “gittata”, ha cessato di essere un dato osservazionale scientifico per diventare argomento di trattativa politica, quasi si trattasse della percentuale dell’IVA o dell’estensione della ZTL, tra chi emette i decreti (il Governo), chi li deve rispettare e far rispettare (Regioni, Comuni ecc) e gli infiniti altri portatori di consenso e di voti.
Abbiamo così 2 m tra professori e alunni per la maturità, 1,5 m sulla spiaggia (ma 4,5 tra gli ombrelloni e forse – ma non si capisce bene – 5 m tra le file di ombrelloni…), 2 m per l’attività sportiva (ma solo 1 m per l’attività “motoria”; su che basi stabilire il labile confine con quella “sportiva”?), 2 m poi ridotti, dopo aspra trattativa, a 1 m tra gli avventori dei ristoranti … Comunque, al di là della “norma a geometria variabile”, restiamo su basi scientifiche: Massimo Galli (Infettivologo del Sacco MI) e Giovanni Rezza (dell’ISS), tanto per fare due esempi, confermano entrambi i 2 m che già Flügge dimostrò più di un secolo fa! Questo dev’essere quindi il giusto “distanziamento sociale” che io preferirei chiamare “distanziamento fisico” perché, se il coronavirus ha rapporti sociali che si riducono al contatto fisico, l’essere umano può contare su strumenti e orizzonti ben più vasti.
Ma sono 2 m. senza mascherina!
- Mascherina: se vogliamo o dobbiamo avere “incontri ravvicinati” a meno di 2 m di distanza, soprattutto se numerosi e in ambiente affollato, devono entrare in gioco i dispositivi di protezione individuali (DPI) tra i quali la mascherina è di gran lunga il più importante. Infatti il contagio attraverso la congiuntiva o per contatto con materiale biologico infetto depositato sulle superfici (mobili, stoviglie, vestiti ecc) è molto meno importante e solo chi è esposto a rischio elevato (operatori sanitari, personale di sportello o che lavora in mezzo alla folla ecc.) ha senso che indossi occhiali protettivi, schermi facciali (e/o utilizzi divisori da banco in plexiglass), tute, calzari ed i guanti stessi: laviamoci solo bene le mani frequentemente, non tocchiamoci la faccia e portiamoci in tasca l’amuchina o un gel alcolico per disinfettare mani e superfici all’occorrenza.
Quindi mascherine a tutti. Ma quali? Quelle filtranti (ffp2 e ffp3) proteggono molto bene sia “in uscita” (cioè le altre persone dai virus che emettiamo noi) sia “in entrata” (noi stessi dai virus altrui), ma limitano di più il respiro e hanno un prezzo più elevato; dovrebbero essere usate solo dalle persone che operano in ambienti ad elevato rischio, come già descritto sopra. Quelle chirurgiche, più semplici, leggere ed economiche, proteggono bene in uscita ma meno in entrata. Sono però più che sufficienti a proteggerci bene tutti quanti, se tutti quanti le indossiamo e le maneggiamo con cura. Infatti, se blocchiamo i virus che eventualmente emettiamo nell’ambiente, l’ambiente stesso non è più a rischio e rimaniamo tutti protetti anche in entrata. Vista l’elevatissima percentuale di casi asintomatici e l’accertata possibilità di essere infettanti prima che i sintomi si manifestino e dopo che se ne siano andati, tutti coloro che non hanno, non hanno mai avuto o hanno cessato di avere disturbi, potrebbero essere sia potenziali “untori” che potenziali “vittime”.
Avrete tutti notato come in Estremo Oriente, già prima di questa pandemia, chiunque avesse un’influenza o anche solo un semplice raffreddore, girava costantemente con la mascherina chirurgica proprio per non infettare le altre persone. Anche quando venivano in Italia come turisti. E quando scoppia un’epidemia, immediatamente tutti – ma proprio tutti – la mascherina non se la tolgono più di dosso. Non per niente sono quelli che hanno anche risposto meglio a questa pandemia in termini di medicina sociale e preventiva!
- Comportamenti e normative: nel riprendere la normale vita di relazione, quindi, se ci si trova all’aperto da soli (o in gruppo ma tenendo una distanza di almeno 2 m tra di noi) si può stare benissimo senza mascherina. Se si devono tenere distanze minori, soprattutto in mezzo a molte persone e in ambienti chiusi, mascherina chirurgica tutti quanti. Credo che le Autorità, oltre ad allinearsi tra di loro (Governo, Regioni ecc) dovrebbero imporre misure comportamentali come queste, semplici ed uniformi, oltre che basate su dati scientifici condivisi a livello mondiale. E poi usare tanto buon senso … Così com’è stupido tenere chiuse le scuole all’infinito o multare due innamorati che si baciano nel cuore della notte in una città deserta (è successo anche questo…), sarebbe colpevole, nella fase 2, tollerare assembramenti di aficionados della movida o di tifosi, rigorosamente privi di mascherina, più fitti della folla che brulicava nel wet market di Wuhan per il capodanno cinese…
- Prospettive: il vaccino è un mito o una realtà? Non illudiamoci che arrivi un vaccino efficacissimo e neanche che arrivi in fretta. Dobbiamo invece sperare, con cauto ottimismo, che anche questo coronavirus, come già hanno fatto i suoi predecessori della SARS e della MERS, attenui il suo potenziale patogeno e si possa “derubricare” a semplice raffreddore, anche se ha una resilienza genetica notevole ed il processo di mutazione che porta al suo “addomesticamento” potrebbe risultare più lungo e incerto del previsto. Dobbiamo quindi adattarci al suo permanere tra noi, in forma non più epidemica ma endemica, per un tempo imprevedibile. E allora è importante fare bene i conti con l’impatto economico e sociale del coronavirus, senza dimenticare quello sanitario ma bilanciando con saggezza le due sfide: ne uccide di più il virus o la fame?
Nella fase 2 è importantissimo riuscire a individuare e a ”tracciare” immediatamente tutti i nuovi casi ed i loro contatti, come hanno fatto in Korea, per bloccare subito il riespandersi del contagio e limitare al minimo il blocco delle attività economiche. Ma per attuare efficacemente questa strategia di “search, test and prevent” ci vogliono: organizzazione perfetta messa a punto precedentemente, tantissimi tamponi, personale dedicato pronto a scattare e Autorità preparate che vigilino con consapevolezza e intervengano con tempestività. Nessuno dei Paesi Occidentali – chi più chi meno – ha dimostrato di essere all’altezza di questi standard.
- Morale della favola: come dice un vecchio proverbio irlandese, “There’s always a pot of gold at the end of a rainbow” a significare che dopo ogni temporale, al ritorno del sole, possiamo vedere, con sorpresa, cose bellissime, come l’arcobaleno, e possiamo anche scoprire, superate con impegno e positività tutte le tribolazioni, inaspettati valori e traguardi…
*Ugo Marchisio, direttore sanitario presso i poliambulatori del Gruppo Larc Torino, per 16 anni primario del Pronto Soccorso e Medicina di Urgenza dell’ospedale Maria Vittoria di Torino, una lunga pratica con malati di ogni gravità.