Carola Vai
Non c’è tragedia, per coloro che sopravvivono, priva di insegnamenti. “Gli arresti domiciliari” imposti alle popolazioni di tutto il mondo dalla guerra contro il coronavirus tra i rari pregi, ha quello di far apprezzare momenti semplici, eppure immensi, come la felicità di una passeggiata. In compagnia o solitaria. Camminare senza pensieri tra le vie della città. Vagare tra i viali. Perdersi nei sentieri di un parco. Tenersi per mano. Abbracciarsi. Ridere senza timori. Quello che abbiamo sempre fatto, prima dell’incubo Covid-19, quasi con indifferenza. E che oggi è vietato, ma soprattutto pericoloso, per la sopravvivenza di tutti gli esseri umani.
Passare da una vita “tutta fuori” ad una “tutta dentro” all’improvviso, non è facile. Per nessuno. Ma il virus non conosce pause, né brevi, né lunghe. Purtroppo solo quando la catastrofe cancella la bellezza ci si rende conto di ciò che si è perduto. Nessuno dei tantissimi maghi, astrologi, esperti nel fare previsioni al tramontare di ogni anno e all’arrivo del nuovo, ha preannunciato al mondo intero un 2020 impegnato a piangere migliaia di vittime. Giornali di tutte le lingue nell’autunno 2019 avevano suggerito viaggi imperdibili tra natura, grandi città, cultura, relax. Almeno per coloro che non avevano problemi economici. Invece il coronavirus, tragicamente democratico, ha annullato qualsiasi barriera sociale, stravolto abitudini, economia, pensieri. Con poche eccezioni dovute più che all’opportunità di cure immediate, rapide ed attente, alla fortuna di possedere una buona salute fisica. Rita Levi-Montalcini, come ricordo nel mio libro “Rita Levi-Montalcini, una donna libera” (Rubbettino) ha più volte ripetuto nella sua lunga esistenza che “nulla è per sempre”. Ma forse nemmeno lei, scienziata con Premio Nobel nel cassetto, avrebbe previsto l’impossibilità di vivere la beatitudine di una passeggiata all’aria aperta , o tra le sale di un museo, per il terrore di essere contagiati da un virus assassino.
Filosofi, scienziati, artisti di vari continenti, e persino politici come l’indiano Mahatma Gandhi (1869-1948) o il sudafricano Nelson Mandela (1918-2013)o religiose come Santa Madre Teresa di Calcutta hanno riconosciuto, in sintesi, che i piani dell’umanità raramente possono vincere quelli della natura. Gli esempi, tragici, sono numerosi. Basta ricordare i più recenti: lo tsunami (maremoto e terremoto) avvenuto nell’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004 che uccise oltre 227.000 persone; il terremoto che, dopo molte scosse sismiche, colpì in modo violento l’Aquila, (6 aprile 2009), causando la morte di centinaia di persone, di sfollati, di feriti; i devastanti incendi che hanno bruciato milioni di ettari di territorio in Australia per circa otto mesi (da fine giugno 2019 a fine febbraio 2020). Eventi devastanti, ma circoscritti in determinati territori, dunque meno spaventosi del coronavirus che circola in tutti continenti paralizzando la vita delle popolazioni di ogni Paese, contagiando pure l’economia, contribuendo ad aumentare povertà e fame. Un nemico, il coronavirus, indifferente davanti alla capacità’ diffusa nelle società evolute di prevedere tempi, durata e conclusione anche nelle situazioni più difficili. Nessuno, nemmeno esperti scienziati, sa indicare una data della ripresa di quella che viene definita “vita normale”. Ossia la possibilità di tornare agli sfrenati ritmi di un’esistenza scandita dal continuo movimento, da rumori più gradevoli dell’assordante silenzio. In tutto il globo terrestre. C’è chi sostiene che il cervello umano (ma io direi anche il cervello degli animali) si abitua a quanto fino a poco prima poteva sembrare impossibile. Lo confermano non solo i catastrofici eventi provocati dalla reazione violenta della natura, ma pure i drammatici cambiamenti scatenati da guerre con distruzione e dolore. La gioia di una passeggiata senza paura diventa, in tempi di indispensabile isolamento umano per evitare il contagio dal virus, un sogno da ricordare a lungo, anche quando l’emergenza sarà un brutto ricordo, certamente superato.