Dario Gedolaro
La diatriba sulla terapia anti Covid 19 con plasma superimmune è emblematica. Emblematica perché da un lato conferma il talento e la genialità degli italiani e dall’ altro la lentezza ottusa dell’apparato burocratico statale, anche del settore sanitario. Si scontrano la fantasia e il coraggio con il rigore formale, la tendenza alla ripicca per lesa maestà e al mettere il bastone fra le ruote. Ma come, medici di provincia si permettono di indicare la strada ai soloni dell’ Istituto Superiore di Sanità, dell’ Agenzia del farmaco, del Comitato Scientifico Governativo! E così, dapprima si tarda a dare risposte e autorizzazioni, poi si cerca anche di intimidire, come nel caso dei carabinieri del Nas comparsi all’ ospedale di Pavia. C’ è anche chi ha avanzato il sospetto che certe prese di posizione nascondano la difesa di interessi economici, questa è una terapia che non porterebbe grandi guadagni al contrario di un farmaco sintetizzato.
Ma le dietrologie o il complottismo non mi interessano. Quello che mi interessa stigmatizzare è il difetto secolare dell’Italia: la mentalità burocratica che rallenta e impaccia. E’ accaduto a inizio pandemia, quando il buon Conte annuncia lo “stato di emergenza sanitaria”, salvo non fare nulla o quasi per mettere le regioni in condizione di poterlo prevenire. Partono le “grida”, ma non i dispositivi di sicurezza, si lasciano proseguire apericena, raduni, assalti ai supermercati, circolazione delle persone da Nord verso Sud (facendo imbufalire i governatori meridionali, anche quelli filo governativi). I primi medici cinesi che giungono in Italia per dare consigli rimangono sconcertati: “Qui gira troppa gente per le strade”, affermano. Poi ci si mette il Dipartimento della Protezione Civile che pretende di avocare a sé tutti i poteri organizzativi, scelta sciagurata e retromarcia a fine marzo. E ancora il virologo Roberto Burioni e il capo della Protezione civile Angelo Borrelli che ridicolizzano l’ uso delle mascherine. Per non parlare di aiuti economici che stentano ad arrivare.
Stesso copione per la terapia col plasma superimmune. Tutto nasce negli ospedali di Pavia e Mantova,
nosocomi di provincia ma eccellenze italiane. Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia e dell’Unità di Terapia intensiva respiratoria dell’ospedale di Mantova, parla di “risultati sorprendenti” e afferma: “Il plasma, in questo momento, è l’unico farmaco specifico contro Covid-19”. Scoppia la polemica. Burioni critica De Donno, che reagisce: “Si comporta come se avesse la verità in tasca, dicendo che è meglio un farmaco sintetizzato piuttosto che il plasma iperimmune che secondo lui potrebbe trasmettere malattie, mentre è sicuro grazie ai controlli accurati e meticolosi che facciamo da sempre. Usiamo tutti i farmaci che danno speranze, pur di salvare vite, il plasma iperimmune è l’arma migliore che abbiamo al momento”. Poi dice di essere stato ignorato dall’Istituto superiore di sanità e rivela che “sono arrivati i Nas in ospedale: proibire l’uso del plasma è gravissimo e la comunità scientifica dovrà rispondere di questo ai cittadini”.
Il direttore del centro trasfusionale dell’ ospedale di Mantova, Massimo Franchini, aggiunge a Tgcom 24: “ La nostra terapia è mirata, va direttamente a distruggere il virus. Noi lo vediamo, perché andiamo a misurare la carica virale prima e dopo l’ infusione di plasma e vediamo che viene abbattuta. In poche ore e nella maggior parte dei casi il virus viene eliminato dall’ organismo”. Una terapia presa a modello da altri paesi. Negli Stati Uniti sul plasma dei guariti scommettono in molti, a partire dalla Food and Drug Administration, l’ente di regolamentazione dei farmaci, che ha messo un annuncio in grande evidenza sul proprio sito: «Donate Covid-19 plasma».
Ma la “burocrazia” sanitaria, in prima fila Il direttore del Dipartimento di Malattie Infettive dell’ Istituto Superiore di Sanità, Giovanni Rezza, reagisce infastidito: “La terapia col plasma superimmune ha dato apparentemente risultati promettenti… Non è un approccio semplicissimo: bisogna trovare donatori, che hanno superato la malattia e sono convalescenti, perché hanno molti anticorpi. Difficilmente può essere praticato su larga scala perché prende tempo, ma può dar vita ad altre forme di trattamento, come gli anticorpi monoclonali. Perché gli anticorpi che proteggono nella plasmaterapia possono essere prodotti in laboratorio, con meno effetti collaterali”.
Il buon Burioni (ma per onestà bisogna dire che negli ultimi giorni ha cambiato registro) sostiene che “i plasmi sono difficili e costosissimi da preparare e poi si basano sulla disponibilità di persone guarite che abbiano questi anticorpi che non sono tantissime”. Indispettito pure il direttore scientifico dell’Istituto nazionale di malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, Giuseppe Ippolito, che dichiara all’ Adnkronos Salute: “Servono verifiche per dimostrarne l’eventuale efficacia, non ancora provata. Ma sono da evitare micro studi scollegati tra loro. Serve un coordinamento nazionale. Il sangue di convalescenti è stato provato con risultati alterni in molte malattie. Sono necessari studi randomizzati controllati e centralizzati con il Governo nazionale…Fino ad ora questo non è stato dimostrato su numeri e ricerche adeguate”.
In verità paiono affermazioni fuori luogo. In tv, a Porta Porta, De Donno fa notare che la gente in corsia moriva e tempo per protocolli, studi randomizzati, trial autorizzati non ce n’ era. Il professor Cesare Perotti, del San Matteo di Pavia, sottolinea che nella terapia con il plasma “non si è verificato nessun decesso”. Per quanto riguarda i costi della terapia, Franchini, spiega: “I costi sono contenuti. Il plasma viene infatti donato gratuitamente. Il costo per la cessione ad altri ospedali è abbastanza basso, attorno ai 172 euro. Considerando che da ogni sacca si ricavano due dosi da infondere nei pazienti, ogni trattamento ha un costo di 86 euro”.
Pochi donatori? Cito soltanto il sindaco di Robbio (Pavia), Roberto Francese: “Siamo stati il primo comune in Italia ad aver fatto fare i sierologici a tutti i
cittadini.
Fatti i test abbiamo scoperto che 400 persone avevano gli anticorpi IgG e non avevano più l’infezione in corso, quindi sono guariti. Queste persone hanno chiamato l’ ospedale San Matteo autonomamente per prenotarsi alla donazione di plasma”. Aggiungo che l’ Avis lombarda ha dato la sua piena disponibilità per la raccolta del plasma.
E concludo con Giorgio Palù, past president della Società europea di virologia e professore emerito di Microbiologia dell’università di Padova. All’Adnkronos Salute dice di “non comprendere le polemiche su questo tema. Non vedo le ragioni dell’insorgere della comunità scientifica. E’ una strada da percorrere, in mancanza di altre terapie o di un vaccino”.