Carola Vai
Appartengo alla schiera di coloro che per colpa del coronavirus hanno visto scomparire, per sempre, amici, conoscenti, famigliari di amici, di tutte le età. Un dolore che il tempo, forse ,cancellerà. Qualcuno mi ha detto che questo periodo, appena superato, deve essere rimosso dalla memoria. Non sono d’accordo! Il tempo non deve far scordare la tragedia sanitaria che ha colpito il mondo intero divorando milioni di persone. L’informazione continua, veloce, a volte ignara della verità, non può difendere il desiderio di dimenticare. Le ferite dell’anima e del corpo devono essere curate e guarite. Ma il male provocato dal Covid-19 va ricordato. Per evitare che si possa ripetere; per riconoscenza, rispetto, gratitudine nei confronti delle vittime. Vittime che in vita mai avrebbero immaginato di imbattersi in un nemico invisibile, sterminatore degli esseri umani in un’epoca dominata dalla persuasione dell’onnipotenza. Idea certamente arrogante davanti alla forza del Creato. Eppure, germogliata in oltre un secolo di lenta, ma tenace coltivazione a tutti i livelli: scientifici, culturali, produttivi, di ogni continente.
Ci voleva una guerra a colpi di isolamento planetario contro il nemico invisibile per insinuare nei pensieri di una parte dell’umanità, che speriamo essere la maggioranza, il ritorno alla convinzione che l’onnipotenza non appartiene agli individui. Basta un invisibile virus per annullare meccanismi sociali costruiti in millenni di fatiche. Per questo, il drammatico periodo dominato dal coronavirus non può, e non deve essere dimenticato. Da sempre si ripete che i nemici per essere sconfitti devono essere conosciuti in tutti i dettagli. A maggiore ragione quando si tratta di un nemico letale, e per di più invisibile. Per non scordare, bisogna rammentare il male causato dalla diffusione del Covid-19. Far rivivere, attraverso testimonianze scritte, oltre che verbali, i martiri del coronavirus. Sono tantissimi, anche in Italia. Nomi sconosciuti al grande pubblico e nomi noti ai mass media. Persone tutte diverse, unite nel tragico finale, solitario, o in compagnia di medici e sanitari nascosti dentro corazze di plastica per impedire al virus di colpirli. Vittime di ogni età, alcune fisicamente fragili, altre convinte di avere ancora molti anni a disposizione per migliorare la propria vita, per catturare soddisfazioni, floridezza economica, benessere fisico e, magari, tratti di felicità . Indimenticabili le immagini delle colonne di camion militari con le salme di centinaia di “martiri” dirette in vari cimiteri per essere cremate perché nelle proprie città di residenza o abitazione, come Bergamo e Brescia, non c’erano più spazio, né possibilità.
Coppie di coniugi che, ammalatesi di Covid-19, ricoverati in ospedali diversi, sono morti lontani l’uno dall’altro. Nonni, genitori, operai, insegnanti, medici, sanitari, imprenditori, artisti e tanti altri. Il coronavirus ha cancellato i gradini sociali, tutti schiacciati sullo stesso piano. La morte non fa distinzioni. Ma è l’addio finale che aiuta il passaggio dalla vita al mondo che nessuno conosce, nonostante le spiegazioni di tutte le religioni. Il terrore del contagio del virus ha annullato l’addio finale, facendo tornare tutti nella solitudine che probabilmente riguarda ognuno di noi quando si trova davanti alla porta che segna il passaggio dalla vita alla morte. La fine dell’angoscia di questa pandemia arriverà. Ne dobbiamo essere tutti sicuri. Difficile immaginare la futura nuova normalità. Ma l’angoscioso periodo che stiamo vivendo dovrà essere ricordato. Perché mai più sia possibile il suo ripetersi. Desiderio arrogante? Forse. Ogni sforzo in tale direzione, secondo me, va comunque fatto. Per coloro che non ci sono più. Per coloro che non ci saranno più. Per le generazioni che verranno.