Pier Carlo Sommo
Premetto che io non sono nè pessimista nè ottimista. Vita, lavoro e cultura mi hanno reso un pragmatico assoluto. Per ragioni professionali ho vissuto questo periodo di crisi in prima linea e sono stato aggiornato quotidianamente su tutti gli aspetti locali e nazionali. In precedenza il mio lavoro di comunicazione e informazione pubblica mi ha portato ad affrontare molti tipi di crisi, sotto vari aspetti, per cui non sottovaluto né mi spavento, per me è un lavoro da affrontare, cercando di mantenere la massima lucidità, sociale, tecnica e politica. Regola aurea del crisis management è nè rassicurare troppo nè intimidire. Nella gestione italiana della comunicazione del COVID19 tale regola è stata totalmente dimenticata, da farci sentire un pò tutti burattini…
La prima cosa che mi ha dato fastidio in questi mesi è stato lo slogan “andrà tutto bene”. Provate a dirlo ai circa 35.000 morti e alle loro famiglie, oppure ai malati sopravvissuti rimasti menomati… Già anni fa l’allora Ministro della Salute Fazio, in epoca di rischio SARS era uscito con l’infelice battuta “non ci saranno tanti morti”, anche in quel caso i “pochi” morti e loro parenti non si sentirono consolati da tanta scientifica saggezza… Io ho una cultura profondamente democratica, liberale e laica, per cui odio retorica e frasi fatte. Lo slogan “andrà tutto bene” mi ha ricordato l’ossessivo e iettatorio “vincere” di Mussolini. Alla fine nel 1945 abbiamo perso disastrosamente, anche se poi si cercò di non ammetterlo giustificandosi con la cobelligeranza e la resistenza…
Uguale grande fastidio mi danno le pubblicità mielose che imperversano in questo periodo e le frasi iper buoniste come: “ne usciremo profondamente cambiati”, “abbiamo avuto modo di riflettere su quello che è veramente importante”, “Ne usciremo migliori” ecc.
La società oggi è il risultato di alcuni millenni di storia e non credo che due o tre mesi di isolamento possano mutare profondamente la nostra essenza umana più di quanto non abbiano fatto secoli di guerre, stragi, onestà e disonestà, cultura e oscurantismo. Siamo quello che siamo e per questo ciascuno di noi tornerà a essere, in bene e in male, quello che era prima di questa emergenza sanitaria.
Il buono e cattivo dell’umanità è stato solo più evidente, ma è sempre il solito.
Abbiamo visto dipendenti pubblici, sanitari e non, impegnatissimi ed eroici ma non si dice che ci sono anche quelli che si sono messi in mutua e hanno portato certificati di medici compiacenti, appellandosi al solito “tengo famiglia”. Fenomeni visti oggi e già visti in passato, ma il buonismo post bufera li vuole ignorare.
Dopo mille tentativi nella pubblica amministrazione è giunto, con numeri rilevanti, il cosiddetto smart working. E’ stato un avvio “forzato”, in strutture in passato sempre ostili dove i burocrati lo temevano come la peste. Invece alla fine è stato avviato in modo affrettato e artigianale. La mancanza di controllo e organizzazione ha fatto si che chi lavorava ed era produttivo in ufficio, a casa ha lavorato anche di più, ma purtroppo chi faceva poco in ufficio ha trovato l’ottimale sistema per fare ancor meno…
Commercianti e industriali onesti generosamente hanno donato e supportato chi operava, ma la normale quota di faccendieri e furfanti esistente nelle due categorie ha architettato per l’occasione truffe e ruberie a partire dalle mascherine. I meno delinquenti hanno pensato a “ritocchini” dei prezzi, e con la scusa di recuperare il lockdown incassano più di prima…. Già capitato anche questo, c’erano nel 2009 quelli che “ridevano” il giorno dopo del terremoto dell’ Aquila pensando alla ricostruzione con ruberie: e prima ancora, nel 1908 immediatamente dopo il terremoto di Messina, erano in azione gli sciacalli che derubavano anche i morti, che però allora furono fucilati subito dai militari italiani e dai marinai dello Zar sbarcati in soccorso delle popolazioni.
Quella che forse cambierà , è la società delle economie avanzate, il modo di relazionarsi, di organizzare la vita, di gestire le attività lavorative, di muoversi o di fruire di prodotti e servizi, il tutto influenzato dalla limitata fisicità che ha contraddistinto questo periodo. Ovviamente, anche qui, nel bene e nel male.
Nonostante le derive negative connaturate all’evoluzione scientifica, la qualità della nostra vita migliora con le tecnologie. La trasformazione digitale, se applicata nel modo giusto, ha la capacità di “semplificare”: con la digitalizzazione della PA è più semplice richiedere un documenti o prestazioni, con l’e-commerce è più facile scegliere e acquistare, con Internet è più agevole fare ricerche e divulgare la cultura.
In questi mesi di isolamento ci si è resi conto che la trasformazione digitale non si è limitata a rendere più semplici alcune cose, ma che ha anche migliorato la nostra vita. Come avremmo potuto affrontare questo periodo senza Zoom, Webex, Teams ecc. , senza Internet, tutte finestre aperte sul mondo. Lavorare fare la spesa, vedere amici e parenti, leggere e avere informazioni sarebbe stato impossibile e la nostra vita sicuramente peggiore.
Quindi, a fronte delle barriere fisiche che abbiamo dovuto necessariamente innalzare, questo isolamento ha contribuito ad abbattere parecchie barriere culturali. Ma non tutto è positivo. Lo smart working “forzato” in verità più lavoro a distanza che smart working effettivo, ha creato disagio in una parte dei lavoratori sottoposti al confinamento forzato, soprattutto nella componente femminile. Da una delle tante rilevazioni effettuate in questo periodo emerge che, a fronte di un 7% globale che afferma di essere meno produttivo a causa degli impegni familiari da gestire in contemporanea, la percentuale sale al 33% per le donne con figli conviventi. Ciò dimostra che non importa quale ruolo una donna ricopra in azienda, quando è a casa, la responsabilità dei figli è principalmente sua.
L’insegnamento universitario on line era una attività eventuale, essendo diventato necessariamente attività principale i problemi sono moltissimi, tecnici e sociali. Gli investimenti in sistemi di videoconferenza pare che registreranno nel 2020 un incremento di quasi il 25%.
Un altro esempio di cambiamento è stata la vendita di libri in formato digitale. Sebbene la dinamica del mercato editoriale del segmento libri sia molto complessa una cosa è certa: il mercato degli ebook in Italia non è mai decollato. Al termine del periodo del lockdown vi è stato un aumento delle vendite dei libri digitali e degli audiolibri del 50% . Gli esperti del settore affermano che molti di questi lettori rimarranno su questo supporto anche a emergenza finita. Non sarà la rivoluzione globale, ma digitale e cartaceo probabilmente conviveranno con maggiore armonia.
Ma tutto ciò non cancella la disuguaglianza economica e sociale, gia prima non contrastata. Ora il digital divide può aumentarla. Se le tecnologie possono aiutarci a migliorare la nostra vita, il non potervi accedere rischia di rendere ancora più gravi le differenze e, come è il caso della scuola, per esempio, se non è possibile accedere alla didattica a distanza.
La privacy è ancora più a rischio, si parla di app di tracciamento dove sono in contrapposizione due diritti fondamentali: quello alla salute e quello alla privacy, purtroppo l’autorità pubblica stenta a conciliarla ed anche a comunicarla correttamente e chiaramente ai cittadini.
Tornando al quesito iniziale, direi che dopo COVID 19, non saremo nè migliori nè peggiori, saremo esattamente uguali a prima, con qualche passo avanti e qualcuno indietro. Non è “andato tutto bene”, è semplicemente “andato” e neanche tanto bene…