Dario Gedolaro
Lasciamo perdere per un momento il teatrino della politica e domandiamoci: ma chi voleva veramente salvare il governo Draghi? L’impressione è che gli unici parlamentari aggrappati disperatamente alla barca dell’esecutivo di larghe intese fossero alla fine solo gli ex Movimento 5 Stelle di “Italia per il futuro” e per ragioni evidenti: la truppa di Luigi Di Maio e compagni avrà vita molto dura alle prossime elezioni, a meno che non si leghi mani e piedi al Pd.
E proprio il Pd, che ora si erge a paladino di Draghi, aveva messo delle belle zeppe nelle scorse settimane sul cammino del governo dell’ex presidente della Banca Centrale Europea, per cui il suo stracciarsi le vesti appare oggi piuttosto strumentale. Come interpretare altrimenti la richiesta di votare leggi come lo jus scholae e la liberalizzazione della coltivazione della cannabis? Proposte estemporanee, del tutto secondarie in un momento di così grave crisi internazionale ed economica, buttate lì per mettere in difficoltà il centrodestra “di governo” e accusarlo di assumersi la responsabilità della crisi. Cosa che infatti il buon Letta ha fatto subito.
Insomma, parafrasando un detto evangelico: chi è senza peccato scagli la prima pietra. Tornando al Pd si ha l’impressione che Letta abbia agito con una buona dose di cinismo, forse solleticato dai sondaggi che non lo danno più in calo, ma semmai in lieve crescita e sperando che il centro destra, ancora largamente in vantaggio nelle previsioni elettorali, si suicidi come è già accaduto in passato. La sua campagna elettorale è già iniziata e le accuse sono già pronte: “Irresponsabili, populisti, antieuropei, putiniani”, ecc. ecc., enfatizzate dai maggiori mass media, che sembrano essere diventati più organi di propaganda che testate “indipendenti”. La lunga intervista fatta al segretario del Pd dal Tg1 delle 20 subito dopo il voto del Senato sembra esserne una prova.
Che cosa succederà alle prossime elezioni? Fare previsioni è al momento difficile. Dato per scontato il vertiginoso calo nei consensi del M5S (se li dimezza otterrà un risultato elettorale molto meno negativo del previsto), sulla prossima campagna elettorale vi sono due incognite: uno è l’astensionismo, l‘altro il cosiddetto Centro. Il primo potrebbe essere ulteriormente alimentato da quella massa di italiani che aveva votato il M5S. Chi si avvantaggerà maggiormente da questo fenomeno? Letta spera che capiti ciò che è già capitato e cioè che l’astensionismo punisca soprattutto i suoi avversari (ha conquistato il collegio di Roma centro con l’11% dei votanti). E poi c’è il fantasma del nuovo Centro, questo soggetto politico di cui si parla con sempre più insistenza. Il Centro potrebbe diventare l’ago della bilancia se veramente riuscirà a coagulare gli scontenti del centro destra (da Mariastella Gelmini a Giovanni Toti), l’elettorato di ispirazione liberaldemocratica (che vota sia per il centro destra che per il centro sinistra) e tutto quel cattolicesimo politico fatto di pluralismo, interclassismo, militanza politica locale e nei corpi intermedi (associazioni, fondazioni, sindacati). Potrebbe ripetersi il caso di “Scelta civica” che, raccogliendo circa il 9% dei suffragi, tolse soprattutto al centro destra i voti necessari per vincere le elezioni. In questo caso potrebbe impedire sia alla coalizione di centro-sinistra sia a quella del centro destra di raggiungere la fatidica soglia del 40% che fa scattare il premio di maggioranza.
Il Centro per allearsi con il Pd pone (almeno per ora) una condizione dirimente: mai con i Cinquestelle e con i suoi fuoriusciti. E mette così in crisi il cinismo lettiano che dopo aver detto di voler imbarcare nel suo “campo largo” sia Conte che il suo nemico numero uno, Di Maio, si è reso conto dell’errore ed ha fatto sapere che recuperare l’alleanza con il M5S sarebbe incomprensibile e sbagliato. Le manovre al centro sono in corso da qualche tempo con incontri e riunioni, che non coinvolgono solo Matteo Renzi e Carlo Calenda, i due “galletti” pronti sempre a beccarsi. Molto dipenderà dalla capacità dei centristi di superare personalismi e sottili distinzioni politico-culturali (“Scelta Civica” naufragò proprio per questo). Nelle ultime elezioni amministrative i candidati sindaci del Centro hanno avuto alcune lusinghiere affermazioni, per lo meno a livello di voti raccolti, in primis a Roma con la candidatura di Calenda.
Il quadro è dunque ancora magmatico e dipenderà anche dalla capacità del centro destra di non avere troppa “cattiva stampa”, di non essere considerato “sporco, brutto e cattivo” da quell’ intellighenzia e da quelle lobby che alla fine un qualche peso nell’orientare l’opinione pubblica lo hanno.