Dario Gedolaro
La battaglia contro le discriminazioni è sacrosanta, ma per combattere le discriminazioni non bisogna crearne delle nuove, come se chiodo scacciasse chiodo. E così è discriminatorio chiedere a gran voce che il prossimo Presidente della repubblica sia donna, facendone una battaglia di genere tout court a scapito di requisiti ben più importanti. Ovviamente è discriminatorio il contrario: cioè pensare che una donna (per il solo fatto di essere donna) non sia in grado di ricoprire quell’ importante incarico. Insomma, come spesso accade, viviamo tempi schizofrenici: da un lato si fanno affermazioni idiote e pseudoscientifiche sul “genere fluido”, quella teoria per cui uno non appartiene al genere che gli ha dato Madre Natura, ma se lo può scegliere in base alle sue paturnie psicologiche (a volte anche cambiando idea a seconda di come uno si sveglia la mattina), dall’ altro il genere (di questi tempi quello femminile) viene sbandierato come un fattore di superiorità intrinseca.
Naturalmente tutto il mondo del politicamente corretto non si pone il problema di simili contraddizioni, né teme il ridicolo di affermazioni del tipo: “L’assenza delle donne nei ruoli di potere è un vero vulnus per la nostra democrazia, oggi più che altro malata di “maschiocrazia” (Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat, una dunque che a dispetto del fatto di essere donna la sua carriera se l’è fatta). Peccato che ci si dimentichi, ad esempio, che la seconda carica più importante dello Stato sia ricoperta da una donna, la presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati. Insomma, chi dice certe cose o lo fa per tirare l’acqua al suo mulino o è un tantino ignorante, nel senso che ignora certi dati di fatto sul progredire dell’universo femminile in tutte le professioni e in molti incarichi di responsabilità. Dunque, al giorno d’ oggi (e ribadisco al giorno d’ oggi, è evidente che in passato le cose erano diverse) nel mondo occidentale le donne sono in grado di farsi valere senza bisogno di mortificanti leggi speciali di protezione.
Per fortuna non tutte le donne sono d’ accordo sul chiedere scorciatoie o percorsi privilegiati. E così la docente universitaria Eugenia Tognotti (storica della medicina all’ Università di Sassari) dissente e scrive su La Stampa: “Una donna al Quirinale? Non basta che sia femmina, serve un nome autorevole…”. E aggiunge: “Se è incontestabile che in Italia ci sono innumerevoli donne provviste di titoli, meriti, competenze, percorsi d’eccellenza nei più vari ambiti, la domanda è: c’è una donna – hic et nunc, nel mare in tempesta che stiamo attraversando – autorevole, provvista di esperienza politica (e sangue freddo), competenze istituzionali e senso di laicità dello stato democratico, capacità di rappresentare al meglio l’Italia sulla scena europea e non solo (anche senza essere “un titano della diplomazia internazionale”, per riprendere il complimento di Boris Johnson all’inarrivabile Angela Merkel )?».
«Se questo nome c’è – conclude – insomma, capace di mobilitare un consenso il più possibile ampio tra quelle stesse forze politiche, perché non ingaggiare una battaglia “vera”, in campo aperto, piuttosto che vestire i panni di avvocate di una causa persa?».
Parole da sottoscrivere: il punto infatti non è che al Quirinale vada una donna o un uomo, ma una persona competente, esperta, con senso dello Stato. Sono i requisiti fondamentali, molto più importanti dell’oggi tanto tirato in ballo genere, sia per metterlo in discussione sia per esaltarlo come requisito fondamentale.