Carola Vai
Su Giovanni Agnelli, morto a Torino il 24 gennaio 2003 dopo aver girato tutto il mondo, si sa molto. Anche se lui non ha mai amato parlare del proprio privato. Così, in occasione del centenario della sua nascita avvenuta il 12 marzo 1921, ho scelto di ricordare la sua passione più indistruttibile: quella per i suoi cani. Lui stesso a margine di una conferenza stampa poco prima di essere colpito dal cancro che l’avrebbe ucciso, ad una domanda sui quattro zampe riportata nel mio libro “In politica se vuoi un amico comprati un cane – gli animali dei potenti” (Daniela Piazza editore) rispose: “i cani sono una compagnia insostituibile. Chi sa ascoltare, amare, sopportare come loro? Ogni esemplare merita il massimo rispetto, fatto che avviene raramente”.
Agnelli, secondo dei sette figli (dopo Clara e prima di Susanna, Maria Sole, Cristiana, Giorgio e Umberto) di Edoardo, unico erede maschio del fondatore della FIAT, e di Virginia Bourbon del Monte di San Faustino, ebbe cani fin da bambino come testimoniano innumerevoli fotografie in bianco e nero. Tra le prime immagini risaltano quelle scattate quando aveva quattro anni: lo si vede intento a giocare con l’amato Brusa. Diventato adulto, nulla appannò il suo amore per i quattro zampe. La seconda guerra mondiale, la morte del padre Edoardo, poi del nonno Senatore, tante avventure, le nozze con l’aristocratica Marella Agnelli Caracciolo di Castagneto, l’assunzione della guida della Fiat per anni nelle mani del fido Vittorio Valletta, la nascita di due figli, Edoardo e Margherita, viaggi in tutto il mondo, non gli fecero mai trascurare i suoi cani. Per lo più bestiole di grande taglia, scattanti, resistenti alla fatica, audaci e sprezzanti del pericolo, in linea con il suo carattere. Tra i prediletti come si vede in numerose immagini, i magnifici Husky, intelligenti, ma difficili e orientati a seguire un capo che intuiscono determinato e deciso.
Come per molte scelte del “signor Fiat”, anche avere un Husky diventò una moda. In Italia scattò la gara al suo acquisto. L’Avvocato, dotato di un grande senso dell’umorismo e della straordinaria capacità di riassumere gli eventi con battute fulminanti, amava dire: “I ricchi non sanno quanto i poveri sono poveri, ma i poveri non sanno quanto i ricchi lavorano”. Tuttavia in merito le sue ricchezze sintetizzò : “Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità”. Poi, verso il passaggio di certe aziende dal pubblico al privato: “finché il potere politico continuerà a nominare i manager non si potrà parlare di privatizzazioni”.
E ancora, dopo essere stato nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, nel 1991: “Non chiamatemi senatore. Ogni volta che sento questa parola penso a mio nonno che, per me e la famiglia, è tutto. Il senatore è lui. Il mio nome d’arte è avvocato Agnelli, ed è giusto che sia così”. Sindaco, come il nonno Giovanni Agnelli senior, per molti anni di Villar Perosa, minuscolo centro in Val Chisone, poco lontano da Torino, dove si trova la “casa simbolo” detta “il castello” della famiglia Agnelli da sette generazione, nella villa secolare ha giocato e si è rilassato con cani di varie forme e grandezza.
E con loro hanno giocato pure i suoi figli Edoardo e Margherita, e i nipoti. Ma i quattro zampe hanno accompagnato “il principe fiorentino”, come il “Time” definì l’Avvocato , anche nelle varie altre residenze: da Villa Frescot, sulla collina torinese, dove è morto, a Roma, a Venezia, in Toscana, sui campi di neve e in spiaggia. Probabilmente i cani erano gli unici esseri viventi che lo aiutavano ad affrontare la noia. La leggenda riporta che certi giorni si stufava talmente tanto da fare un salto a Parigi per un caffè, poi con il Concorde attraversava l’oceano e qualche ora più tardi rientrava a Torino. Agnelli rispettava talmente la libertà e il divertimento dei suoi cani da incappare persino in curiosi incidenti diplomatici. Alcuni di questi accaddero a Saint Moritz .I giornali riportarono varie escursioni di Husky fuori dal recinto di villa Agnelli diretti a rincorrere e cacciare i daini della zona. Un giorno la polizia locale, anziché esigere dai proprietari della residenza il pagamento della penale minacciò di uccidere i quattro zampe. La leggenda riporta che da quel momento i cani non uscirono più dal recinto della villa.
L’attenzione di Gianni Agnelli verso i suoi fedelissimi animali fu tale da provocare amare critiche da parte del figlio Edoardo che più volte lo accusò di amare i cani molto più dei figli. Tuttavia pur sostenendo “un uomo che non piange, non potrà mai fare grandi cose”, non amava parlare in pubblico delle sue vicende private. Ed anche se apprezzava essere fotografato con i vari quattro zampe in rilassanti momenti famigliari come confermano numerose immagini, raramente svelava in pubblico qualche caratteristica dei suoi cani. L’avvocato che più volte ospitò Henry Kissinger a Torino, e un lunedì di primissimo mattino si fece aprire il Parlamento Subalpino, a Palazzo Carignano per mostrare personalmente all’amico ex segretario di Stato di Nixon dove politicamente era nata l’unità d’Italia, aveva verso i suoi cani un rispetto e una riservatezza quasi estrema. Tuttavia giustificava con eleganza eventuali intemperanze delle bestiole, come accadde un giorno di giugno 1997 quando, atteso alla riunione del Consiglio delle relazioni tra Italia e Stati Uniti, si presentò con una vistosa fasciatura alla mano destra. Alla curiosità generale rispose quasi divertito: “è stato il mio cane. Mi ha morso mentre gli davo da mangiare. Ha due anni. E’ un cane giapponese da combattimento, non sa ancora controllarsi”. L’episodio riportato su vari giornali non appannò la sua attenzione verso la bestiola. Del resto la consuetudine di Agnelli di dare personalmente da mangiare ai suoi cani quando si trovava a casa era nota a coloro che frequentavano le sue residenze. Jas Gawronsky parlando con i giornalisti rivelò: “Gianni Agnelli dava da mangiare ai suoi cani con la forchetta”. Altri testimoni sottolinearono che per l’avvocato “ i cani erano stati spesso più importanti delle persone”.
Dopo la scomparsa dell’Avvocato, sepolto nella tomba di famiglia del cimitero di Villar Perosa, dove lo precedette il figlio Edoardo, morto suicida a 46 anni, il 16 novembre del 2000, e in seguito donna Marella scomparsa il 23 febbraio 2019, all’età di 92 anni, le richieste dei cani Husky in Italia diminuirono fino quasi scomparire. Il dichiarato rispetto e affetto di Giovanni Agnelli verso i cani raro in Italia a quell’epoca tra industriali e politici, era uno stile da decenni molto diffuso tra le famiglie reali di quasi tutta Europa, e tra i Presidenti degli Stati Uniti. Oltre oceano fin dai tempi dei primi Presidenti statunitensi, cani e gatti iniziarono ad essere amici mostrati, e non nascosti. Stesso atteggiamento si ebbe nelle Case Reali europee, soprattutto in Francia e nel Regno Unito. Tra i politici dello scorso secolo che più esibirono l’affetto per i quattro zampe senza alcuna timidezza ci fu il grande statista Winston Churchill che l’avvocato Agnelli , trentenne, ebbe modo di conoscere piuttosto bene attraverso i racconti di conoscenze in comune , oltre varie indiscrezioni riportate sui giornali.