Carola Vai
“Lo sport è un diritto di tutti, non un lusso e per i disabili è una via verso la rieducazione. A me sembra incredibile che nessuno abbia mai pensato ad una legge in merito” . Giusy Versace, atleta paraolimpica 41enne, scrittrice, parlamentare di Forza Italia, parla con foga carica di ottimismo contagioso a decine di giovani riuniti in un grande salone a Torino.
“La vita è un attimo! E’ terribilmente bella, ma pure terribilmente crudele. Quando mi sono svegliata dal coma, ho provato un enorme senso di gratitudine. Non avevo più le mie gambe, ma ero viva!” Giusy Versace a vederla, in piedi, bella, sorridente, magnifici capelli neri fluenti, occhi vivaci, carnagione scura, tipica bellezza mediterranea, si fa fatica ad immaginare gli enormi ostacoli che ammette di aver superato per essere la donna che è diventata. Spartiacque della sua esistenza in un giorno d’agosto 2005: l’incidente in auto contro un guard rail sulla Salerno-Reggio Calabria dove ha perso entrambe le gambe. “Avevo 28 anni. Stavo facendo un viaggio di lavoro, come tante altre volte. Ero impegnata in un’azienda concorrente a quella di famiglia. Avendo un cognome pesante, cercavo di lavorare il doppio per dimostrare che non ero una raccomandata. C’era un violento temporale. Sono finita contro il guard rail che mi ha tranciatole le gambe. Non ho perso i sensi. Tutta la vita mi è sfilata davanti. Io volevo vivere. Ho sempre avuto tanta fede. Ho chiesto, supplicato di poter vivere. Ed eccomi qui!”
Dalla sala gremita scatta spontaneo un applauso. Lei sorride e riprende con grinta il racconto. “All’inizio il dolore che si prova è talmente immenso che, a distanza di anni, non sono ancora capace di spiegarlo. C’è il dolore fisico e c’è quello dell’anima. Non so descrivere, ma è terribile. Disabili nella vita si diventa, ma quando ci si trova invalidi la cosa più difficile è accettare la realtà”. Una realtà affollata di persone che non amano vedere intorno a loro un essere umano senza gambe, o senza braccia o affetto da altre disabilità. Giusy Versace lo ammette più volte. “Ci vuole coraggio. Io ho dovuto fare una scelta tra coloro che mi attorniavano. Per andare avanti avevo bisogno di circondarmi di positività. Ho allontanato coloro che mi trasmettevano negatività. Non è facile, ma ce l’ho fatta. Non bisogna mai mollare”. Cosa l’ha aiutata? “Caparbietà, pazienza, fiducia in me stessa . Ma c’è voluto tempo e tantissima pazienza. Ho capito che dovevo essere psicologa di me stessa. La vita è difficile per tutti e, in vari modi, ci mette alla prova. La fede mi ha aiutato a non incattivirmi e a cercare sempre il lato positivo”.
Dopo l’incidente Giusy ha trovato una seconda vita zeppa di sfide e avventure nemmeno mai immaginate che nello sport l’hanno portata, fino al 2018, a vincere nella corsa ben 11 titoli italiani, una medaglia d’argento e una di bronzo nei giochi europei e a conquistare l’ottavo posto in una gara alle paraolimpiadi di Rio de Janeiro.
“Prima dell’incidente ero una donna in carriera, molto impegnata nel lavoro. Quando mi sono trovata su una carrozzina ho immaginato di poter fare le cose del passato. Avevo perso le gambe, non la testa. Presto ho capito che era impossibile, e pertanto rimpiangere il passato era inutile. Dovevo costruirmi un nuovo domani. Ed ho pensato di correre. Certo non immaginavo di partecipare ad una Olimpiade”. Ed è diventata la prima donna in Italia a gareggiare con un’amputazione bilaterale. Specialità i 100 metri.
Con ironia appena velata di amarezza, Giusy ricorda un episodio con le sue prime gambe artificiali. “Dopo essermi preparata psicologicamente, sono andata al mare. Espormi in costume era una sfida. Fatto il bagno sono tornata a sedermi sulla sabbia. Le mie gambe erano piene d’acqua, così le ho tolte per svuotarle. Una bambina incuriosita, si è avvicinata. La mamma si è precipitata e prendendola per un braccio, l’ha allontanata, coprendole gli occhi . L’azione mi ha molto addolorata . In quel momento ho deciso che mai mi sarei vergognata delle mie protesi. Oggi ho dodici paia di gambe di carbonio, le cambio a secondo di dove devo andare. Sono una donna, sono vanitosa e pure terruncella. Amo le scarpe con il tacco. Mi sto facendo fare un paio di gambe per portare il tacco 9”. Pur sforzandosi di dare un tocco di leggerezza ai problemi Giusy osserva : “io faccio qualsiasi cosa, ma non devo mai dimenticare che sto in piedi su due gambe finte e se mi distraggo, cado, perché non ho sensibilità con la terra. Molte persone per strada camminano guardando il cellulare senza vedere la gente che spesso spintonano. E poiché io non ho alcun contatto con la terra, se non avessi un buon equilibrio, alla minima spinta sfioro la caduta”.
Espansiva, piena di grinta, Giusy conquista la scena sia in televisione dove ha partecipato e vinto la decima edizione di “Ballando con le stelle”, show di RaiUno, che dal vivo. “La disabilità sta negli occhi di chi guarda. I bambini non la vedono. Per loro io sono una campionessa che vince le gare e mi chiedono autografi e selfi. Mia mamma non si è mai vergognata di muovermi in carrozzina”.
Convinta del fatto che “lo sport è un diritto di tutti, non un lusso e per i disabili è una via verso la rieducazione”, nel 2011 ha fondato l’associazione “Disabili No Limits Onlus” per aiutare i giovani ad avvicinarsi allo sport ed oggi sta cercando di avere una legge governativa in merito. “Ho difficoltà a capire l’assenza di una simile legge. Mi sono convinta che molte cose non si fanno perché non si pensano, non si vivono. Io ho un estremo concetto di squadra. Solo lavorando in squadra si ottengono risultati: nello sport come in molti altri settori della vita quotidiana. A volte la politica mi delude, ma poi prevale la convinzione che non bisogna mai arrendersi. La politica non vuole dire sporcarsi, vuol dire mettersi in gioco, provarci con convinzione. Bisogna studiare, combattere l’ignoranza della gente, mai capitolare alla prima sconfitta”.