Dario Gedolaro
La “bandiera bianca” di Papa Francesco a proposito dell’Ucraina ha suscitato perplessità e critiche da più parti, anche perché nell’accezione italiana (che non è la lingua madre del Papa) è un invito alla resa. Invece, come hanno spiegato poi i portavoce del Pontefice, “bandiera bianca” voleva essere un invito ad entrambe le parti a cessare le ostilità e a cercare una via diplomatica al conflitto. Ora apprendiamo da fonti di parte, ma non di parte filorussa, bensì americana ed esattamente dall’autorevole New York Times, particolari che gettano nuova luce sulle cause del conflitto e che ne rendono la “lettura” meno scontata, avvalorando la tesi di chi invita a trovare un accordo che “scontenti tutti” (come definiva i “buoni” accordi di politica internazionale l’ex segretario di Stato, Henry Kissinger).
Secondo il quotidiano statunitense, esistono prove di un vasto piano americano di destabilizzazione dell’Ucraina con l’obiettivo di portare il Paese nella sfera atlantica e allargare la NATO, obiettivo peraltro esplicitato già nel 2008 al vertice di Bucarest dall’allora presidente George Bush. Obiettivo che comprendeva anche la Georgia.
Il Corriere della Sera parla di “fatti risaputi, già documentati in sede storica e riproposti ora da una fonte autorevole come il New York Times” e aggiunge: “Il quotidiano americano sostiene che la collaborazione militare, strategica e logistica fra Washington e Kiev non è, come sarebbe stato ovvio in seguito, un dato di fatto conseguente all’invasione russa, bensì un processo iniziato da molti anni. In altri termini, se oggi c’è urgenza di sostenere l’Ucraina contro l’aggressore, l’obiettivo iniziale della Casa Bianca era di utilizzare l’Ucraina come un pilastro contro la Russia. Obiettivo che cominciò a realizzarsi molti anni prima del conflitto attuale”. L’ attuale direttore della CIA ed ex ambasciatore in Russia, William J. Burns a proposito di allargamento della NATO ad Est, ha affermato allo storico americano Benjamin Abelow: “Non solo la Russia lo concepisce come un accerchiamento e un tentativo di indebolire la sua sfera d’influenza nella regione, ma teme anche reazioni imprevedibili e incontrollate che pregiudicherebbero gravemente la propria sicurezza”. In particolare, aggiunge il Corriere, “si fa notare che cosa significherebbe la presenza della NATO lungo un confine con l’Ucraina di 1.930 chilometri”.
Saranno fatti risaputi, ma certo non di dominio pubblico ampio, e anche per chi ha sempre stigmatizzato l’aggressione putiniana lasciano perplessi, per lo meno – bisogna ammetterlo – come le parole del Papa. Lasciano perplessi perché confermerebbero che spesso la politica estera degli Stati Uniti è ancorata a vecchi schemi (il mondo diviso in due blocchi) o è alla ricerca di un’egemonia che, in questo caso per l’Europa, è poco digeribile. E sì, perché se fosse vero quello che scrive il New York Times, gli Stati Uniti hanno giocato sulla pelle dell’ Unione Europea, forzando una instabile situazione politica ai suoi confini, fino a provocare la rottura di equilibri e di rapporti faticosamente costruiti dopo il crollo dell’URSS. Oltretutto i danni economici collaterali provocati dal conflitto ricadono quasi in toto sulla UE.
E’ evidente che Putin con la sua aggressione militare si è messo dalla parte del torto e che si è mosso senza considerare che il mondo è cambiato, che la stessa Russia è cambiata. Se per ora lo segue è perché lui evita di coinvolgere la gran maggioranza della popolazione nella sua scriteriata avventura bellica. Come reagirebbero i russi a una mobilitazione generale? E infatti non l’ha mai proclamata, impegnando in Ucraina soldati provenienti da regioni marginali del vasto territorio russo, truppe cecene, carcerati o ex carcerati e mercenari. Secondo dati del sito Euronews, sono 79 milioni i cittadini russi arruolabili, il personale militare attivo ammonta invece a 850.000 unità. Tra queste, secondo i dati del ministero della Difesa americano, circa 180.000 sarebbero sul fronte ucraino. Molto più forte dell’Ucraina è la Russia come aerei, mezzi corazzati, sottomarini e navi da guerra.
Zelensky, contrariamente a Putin, è già ricorso a una prima mobilitazione generale (dai 27 anni in su) e deve fare i conti con la disponibilità di combattenti: oltre 6 milioni di Ucraini sono già andati all’estero. Sul campo la situazione ora sembra favorevole alla Russia, dopo il fallimento l’anno scorso dell’offensiva ucraina.
Senza gli aiuti di Stati Uniti e UE l’Ucraina molto probabilmente non avrebbe avuto scampo. L’Unione Europea è quella che ha stanziato di più: 144 miliardi di euro (ma effettivamente già dati 77), gli Stati Uniti 67 miliardi di euro, di cui 42 per aiuti militari, il che ne fa il primo fornitore di Kiev. Quanto si potrà ancora andare avanti?
Cinicamente si potrebbe sperare che lo stallo continui: indebolirebbe la posizione internazionale della Russia ed eviterebbe il tracollo dell’Ucraina, nonostante il prezzo doloroso di distruzioni e morti. Ma le infezioni tendono ad espandersi, a creare nuovi focolai (l’attentato di Mosca ne è un esempio), a destabilizzare un mondo già in piena corsa al riarmo. Non una bella prospettiva. Ma c’è la possibilità di far tacere le armi attraverso una forte iniziativa diplomatica che isoli Putin e lo convinca a intavolare trattative?