Paola Claudia Scioli
#italiaunicaqui – Siamo nel Canavese, non molto distante da Torino. Pochi chilometri separano l’uscita di Albiano, sulla diramazione Ivrea-Santhià dell’A5, da Caravino, borgo di un migliaio di anime dominato dal Castello di Masino, con il suo giardino labirinto, adagiato in cima alla collina affacciata sulla barriera morenica della Serra di Ivrea. Una posizione strategica ambita sin dall’antichità, oggi anche scenario e set di raffinate sfilate di moda. La prima fortezza fu costruita nel 1070 dalla famiglia Valperga di Masino, casata piemontese imparentata, si dice, con Arduino re d’Italia. I Valperga ne mantennero la proprietà, e ci vissero, fino al 1988 quando, dopo la morte della marchesa Vittoria, ultima erede, la dimora fu acquistata dal FAI, che l’ha restaurata e aperta al pubblico.
La classica struttura quadrangolare delle origini, con torri di guardia e alte mura difensive, fu più volte danneggiata e messa sotto assedio: nel Quattrocento dai Savoia, ai quali poi i Valperga rimasero legati a lungo come testimonia il Salone dei 93 ritratti, nel Cinquecento dai francesi e nel Seicento dagli spagnoli. Alla fine delle scorribande straniere, nel Settecento Carlo Francesco II, viceré di Sardegna, e il fratello Tommaso Valperga, abate di Caluso, decisero di trasformare l’originario castello in una residenza aristocratica con pianta a elle, numerosi saloni di rappresentanza, splendide camere per gli ambasciatori, appartamenti privati, salotti con camini e fiorite terrazze panoramiche: la Terrazza dei Limoni e la Terrazza degli Oleandri. Sono questi ambienti, decorati con affreschi, quadri e ricche tappezzerie e arredati con mobili unici e oggetti preziosi di varia provenienza, che raccontano le mode dell’epoca, ma anche il colto e raffinato stile di vita dei proprietari.
Basta soffermarsi ad ammirare, nel Salone degli Stemmi, la sequenza araldica degli stemmi e degli emblemi, che raffigurano i rapporti di parentela con le più note famiglie aristocratiche subalpine e i legami con la Corte Sabauda, o gli originali mobili a “pastiglia”, realizzati con una tecnica che prevedeva l’applicazione di decorazioni di pasta di riso o di amido sulla superficie lignea. Ma anche la Galleria degli Antenati, dell’inizio del Settecento, decorata con ritratti degli esponenti della famiglia Valperga disposti su due registri, dei quali l’ultimo è il conte Carlo Francesco III di Valperga, vestito già secondo la moda dell’Ottocento.
Molte curiosità sulla vita della millenaria famiglia emergono anche dall’Appartamento della Regina, dal salone degli Dei, dalla Sala dei Gobelins, tutte sontuosamente decorate, dalla Galleria dei Poeti e dall’immancabile Salone da Ballo con grandi finestre sul parco del Castello. L’appartamento del Viceré, invece, attira l’attenzione per la secentesca Sala del Biliardo, trasformata successivamente in una vera e propria Camera dei Giochi: oltre al biliardo, si trovano anche la dama, gli scacchi, la tombola e molti altri intrattenimenti senza tempo.
Come succede in molte altre residenze nobiliari che hanno visto il loro momento di massimo splendore nel Settecento e nell’Ottocento, l’elemento di maggior fascino della residenza è la biblioteca che, con i suoi oltre 25.000 volumi antichi e rari, è la testimonianza dell’amore per il sapere e la cultura che caratterizza quell’epoca (vedi anche articolo http://www.viavaiblog.it/case-museo-storia-arte-e-cultura-di-unepoca/ ).
Il nucleo originario della raccolta presenta uno straordinario compendio del sapere e dell’intelletto umano: scienze umanistiche, cartografia, letteratura, poesia, saggistica su ogni ambito della società e della vita umana, matematica, astronomia, botanica, a partire dai più antichi incunaboli e manoscritti miniati, passando per l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert e per la rara raccolta dei libri all’Indice che la famiglia aveva facoltà di conservare, per giungere fino ai primi del Novecento con le più recenti raccolte di quotidiani e letteratura.
Interessante anche la collezione di 12 carrozze e la cappella di San Carlo Borromeo con pareti affrescate e le ceneri di Arduino di Ivrea.
Circondano il palazzo 18 ettari di bosco e un rigoglioso parco, nel Settecento all’italiana, in seguito trasformato per 20 ettari in un parco all’inglese, secondo i gusti dell’Ottocento. Piantati 110.000 bulbi di giacinti; 543 alberi messi a dimora, tra cui castagni, ciliegi selvatici, frassini, aceri; 3.315 arbusti, mentre la Strada dei 22 giri è lunga 3 km. Particolarmente belli sono il giardino delle rose e delle ortensie, il giardino delle spiree, che fioriscono in primavera intorno al tempietto neogotico, e il giardino dei cipressi che conservano i segni del giardino all’italiana. All’interno del parco si trova anche un labirinto di siepi di carpino, lungo 1 km, realizzato con oltre 2000 siepi e alcune sorprese, secondo per ampiezza in Europa solo al Labirinto della Masone voluto da Franco Maria Ricci a Fontanellato (PR) che conta oltre 200 mila piante di bambù per un percorso complessivo di 3 km.
Visto dall’alto sembra un ricamo, ma quando ci si avventura all’interno, si scopre che, come tutti gli altri labirinti, ha una pianta complicata e tortuosa che disorienta e crea la paura di rimanere intrappolati. Apparso in varie culture, epoche e luoghi della terra anche se sembra più diffuso nell’area del Mediterraneo, il labirinto è sempre stato considerato la metafora di un viaggio all’interno del proprio io e il simbolo del cammino tortuoso della conoscenza.
Il primo labirinto entrato nella storia è quello di Cnosso, ideato dall’architetto Dedalo, una prova iniziatica traducibile come viaggio che conduce al centro, ovvero al luogo sacro per eccellenza che esprime la speranza di una rinascita. Ma Plinio nella sua Naturalis historia ne menziona altri tre: il labirinto di Lemno in Grecia, il labirinto di Meride in Egitto e il labirinto di Porsenna in Italia, e numerosi sono anche i labirinti nella cultura cristiana. Il più antico è quello sul pavimento della Basilica di San Vitale a Ravenna (VI secolo). Ma ce ne sono anche sui pavimenti delle cattedrali gotiche medievali francesi di Chartres, Reims (raffigurato sulla copertina del libro di Umberto Eco “Il nome della rosa”) e Amiens, per citarne solo alcune, nell’abbazia trappista di Notre-Dame de Saint-Rémy in Vallonia o sul bellissimo pavimento del Duomo di Siena (vedi articolo http://www.viavaiblog.it/italia-unica-qui-siena-perde-il-palio-e-si-reinventa/ ).
Percorrerli era considerato un cammino di espiazione, alternativa ai pellegrinaggi che non tutti si potevano permettere. E naturalmente era vietato prendere le scorciatoie o ripassare da punti già superati. La lunghezza e la tortuosità del percorso alludevano, infatti, alle difficoltà che si possono incontrare seguendo il cammino spirituale.
Leggermente diversa la funzione dei più di 500 labirinti costruiti nello stesso periodo in Scandinavia, spesso vicino al mare, con una funzione propiziatoria per scacciare gli spiriti maligni sfavorevoli alla pesca. I labirinti vegetali sono stati invece realizzati tutti a partire dal Rinascimento. Splendidi esempi si trovano a Villa Pisani a Stra, a Villa Barbarigo a Valsanzibio, a Villa Giusti a Verona, al Castello di San Pelagio in provincia di Padova, sull’isola di San Giorgio a Venezia, alla Reggia di Venaria Reale a Torino, al castello Ruspoli a Viterbo, nei giardini di Villa Garzoni a Collodi. Senza dimenticare gli affascinanti labirinti del castello di Schönbrunn a Vienna, dei giardini di Reignac-sur-Indre, del castello di Chenonceau e del castello di Villandry in Francia o della residenza reale di Hampton Court in Gran Bretagna.
Per informazioni:
Castello e Parco di Masino, Via al Castello 1, Caravino (TO)
tel. 0125 778100; faimasino@fondoambiente.it – www.fondoambiente.it