Paola Claudia Scioli
Quando si ama la propria città, ci si mette volentieri la faccia per riportarla agli antichi splendori. A causa dell’emergenza #Coronavirus anche #Orvieto, come tante altre città d’arte in Italia, ha subito un tracollo delle attività collegate al turismo, che significa almeno il 70 % delle attività complessive. Tre mesi di lockdown e la paura degli stranieri a muoversi verso l’Italia, che ha comunicato forse con eccessiva trasparenza la gravità della situazione sanitaria nei mesi passati, hanno spazzato via il turismo internazionale da una delle città simbolo del Bel Paese.
Niente più americani e olandesi. Piazze e strette vie del centro storico, arroccato sulla “Rupe” tufacea color bruno-rossiccio, deserte. Svetta scintillante il Duomo visibile da lontano percorrendo in entrambi i sensi di marcia l’A1, l’autostrada del sole. Ma i giovani nelle serate estive non affollano più i suoi alti gradini. Resta il turismo di prossimità, che arriva nei weekend, e che poco alla volta sta tornando a riempire prima di tutto la grande area sosta camper e gli agriturismi, e poi i Bed & Breakfast e gli alberghi cittadini. Non si perdono comunque d’animo gli orvietani. Infatti hanno lanciato una campagna di comunicazione straordinariamente efficace, diventata subito virale: un video emozionale, con gli abitanti al centro del racconto per comunicare l’anima di un territorio ricco di bellezze naturali, artistiche, architettoniche, storiche, culturali e di un patrimonio umano inestimabile. C’è Rosaria, che lavora con creta e pennelli per plasmare le sue opere e condivide la passione per la ceramica con tutti quelli che si affacciano al suo atelier. C’è Christian, l’oste che ama soffermarsi sulla soglia per raccontare il fascino dei vicoli dove i bambini corrono e giocano, incontrandosi al crocevia della Torre del Moro. C’è il profumo delle botteghe, dove ci sono i falegnami, Maurizio e Silvio, impegnati con passione in uno dei tanti mestieri della tradizione che rendono Orvieto ancora più affascinante e accogliente. E ci sono gli orvietani, che si incontrano per strada e si fermano a chiacchierare sui gradini del Duomo. Molti hanno scelto di tornare nella loro città, dopo essere stati in giro per il mondo. Si siedono sulle panchine, ascoltano il suono dei vicoli, si mescolano con semplicità ai turisti e raccontano qualcosa delle vecchie tradizioni che si portano dentro. Sono loro i primi ambasciatori di Orvieto in Italia e nel mondo. La città ha origine Villanoviana, con due periodi di grande splendore: l’epoca dell’etrusca Volsinii, tra l’VIII sec. a.C. e il 264 a.C. quando arrivarono i Romani, e l’epoca medievale-rinascimentale, a cui si deve l’impianto urbanistico con vicoli e vicoletti che percorrono la collina tra torri, palazzi, incredibili pozzi, innumerevoli chiese e l’affascinante Duomo, espressione del potere politico, religioso ed economico della città. La prima pietra fu posata sotto il pontificato di Nicolò IV nel 1290 e solo sette anni dopo Bonifacio VIII vi celebrò la prima messa il 15 agosto 1297. La facciata gotica, di grande impatto visivo e di estrema raffinatezza, fu realizzata nel 1309, mentre il rosone centrale risale alla seconda metà del XIV sec. Come succede spesso per le chiese nel nostro paese, il bello non finisce qui: varcata la soglia principale, si rimane affascinati dallo stupendo finestrone gotico che si innalza fino al cielo nell’abside, composto da ben 48 riquadri raffiguranti episodi della vita della Vergine e di Gesù, dei Profeti, dei Dottori della chiesa e degli Evangelisti. Sul braccio destro del transetto si apre invece la Cappella di San Brizio, della seconda metà del XV secolo a cui lavorò inizialmente il Beato Angelico e poi il Signorelli.
Collegati alla Cattedrale sono i Palazzi Papali, complesso in stile gotico del XIII secolo che ospita il Museo dell’Opera del Duomo e il Museo Archeologico Nazionale contenente numerosi corredi funerari, vasi attici a figure rosse e a figure nere, buccheri e oggetti in bronzo e ferro di provenienza locale. Dall’altra parte della piazza del Duomo, invece, il Palazzo di proprietà della famiglia Faina, che nella seconda metà del XIX ha collezionato innumerevoli opere tra monete, buccheri, reperti protostorici e preistorici, etruschi, greci e romani, studiati e valorizzati con straordinaria competenza dall’archeologo orvietano Giuseppe Della Fina. Usciti dal museo Faina e andando a sinistra lungo la via Duomo si raggiunge la Torre Maurizio, una delle più antiche torri con orologio in Italia. Proseguendo si arriva in una delle principali piazze di Orvieto: Piazza del Popolo, con l’omonomo palazzo in stile gotico-romanico del XII secolo e il Palazzo dei Signori Sette con la Torre del Moro, dalla quale si può ammirare uno splendido panorama. Andando poi verso il romanico Palazzo Comunale, in piazza della Repubblica, merita una visita la chiesa di sant’Andrea, originale per la sua torre dodecagonale, del VI secolo ma rimaneggiata tra l’XI e il XIV secolo. Continuando lungo via Filippeschi ci si avvicina alla parte più antica della città, all’estremità occidentale della Rupe, ai piedi della quale sul lato settentrionale si trova la necropoli etrusca del Crocefisso del Tufo, che ha restituito corredi funerari di grande prestigio. Le strutture più interessanti si snodano lungo la Via della Cava e nei dintorni, con un’area archeologica risalente agli Etruschi (si può ancora vedere un tratto di muro) e il Pozzo della Cava, voluto da Clemente VII all’inizio del Cinquecento e caratterizzato da un suggestivo percorso sotterraneo con ritrovamenti etruschi, medievali e rinascimentali. Lungo il lato meridionale della Rupe si snoda un altro percorso della Orvieto sotterranea, scavato nel tufo e speculare alla città esterna, con un dedalo di cavità e stretti cunicoli che corrono di qua e di là come a formare un labirinto ipogeo. Ogni casa aveva un’estensione più o meno grande sotto terra con varie destinazioni d’uso anche in base ai periodi storici. Ritornando verso la funicolare diretta alla città bassa, si trova un altro dei simboli di Orvieto nel mondo: il Pozzo di San Patrizio, voluto sempre da Clemente VII nel 1527 per garantirsi l’approvvigionamento d’acqua in caso di assedio, e realizzato con grande ingegno dal Sangallo. L’originalità della sua struttura sta nella presenza di due porte, diametralmente opposte, che danno accesso a due scalinate di 248 gradini l’una molto bassi e larghi. Correndo una sopra l’altra in modo elicoidale, queste scale permettevano agli animali da soma – e ora ai visitatori – di scendere e risalire senza mai incrociarsi. E questo è il motivo per cui è stato il primo monumento che ha riaperto al pubblico in tutta sicurezza dopo il lockdown e anche quello che ha registrato un numero di visitatori giornalieri non molto diverso dal solito, nonostante il contingentamento delle visite. Altra genialità è che, nella cavità interna, 72 finestroni illuminano il pozzo fino al punto più basso. Intanto tutti i monumenti stanno riaprendo progressivamente al pubblico e le visite possono essere fatte in sicurezza, grazie anche alla possibilità di prenotarle on line per evitare inutili code.
Info: https://www.liveorvieto.com/comune-orvieto/