Dario Gedolaro
E’ tutto un po’ cialtronesco, ma da non sottovalutare. Ricordate Berlusconi che firmava nel salotto di Bruno Vespa, in tv, il “contratto con gli italiani”? Ecco, se lo moltiplichiamo per 10 arriviamo pari pari agli atteggiamenti di Donald Trump. Cafoneschi, indigeribili per l’Antico Continente, ma con una logica: la mentalità del magnate (anche Berlusconi lo era) abituato nei suoi affari a tirare la corda e alzare la posta per portarsi a casa un risultato.

Certo la politica cui siamo abituati noi europei è un po’ diversa, un campo in cui le strategie sono più complesse, dove bisogna usare quell’arma che in questi anni di guerra fra Russia e Ucraina è apparsa molto spuntata: la diplomazia. Dire e non dire, concedere qualcosa per centrare il bersaglio, quando è il caso evitare di alzare troppo i toni e, soprattutto, non fare tutto alla luce del sole. Può sembrare ipocrisia, cinismo, ma permette di arrivare a ciò che ci si era prefissati. L’alternativa è una sola: il ricorso alla forza. Ricordate la Ostpolitik inaugurata dal Vaticano nei confronti delle dittature comuniste dell’Est Europa e dell’Unione Sovietica? O il disgelo fra Usa e Cina avviato con un torneo di pingpong? E ancora, si criticarono certi presunti silenzi di papa Pio XII nei confronti di Hitler, ma si sottace il fatto che il Pontefice mise a disposizione in segreto la diplomazia vaticana per aiutare il complotto “Orchestra nera”, organizzato dagli stessi tedeschi per uccidere il Fuhrer e che portò all’attentato del maggio 1944. Sicuramente un contributo più concreto di tante parole.
Oggi l’Europa è attonita di fronte agli schiaffoni dati da Trump a Zelensky, che aveva insistito per l’incontro a Washington sottovalutando l’intenzione Usa di ritirare il proprio sostegno e di non spendere più i propri miliardi in una guerra che non dà segni di poter essere conclusa in tempi brevi. Al leader ucraino è stato rimproverato dal vice di Trump, Vance, di non avere speso pubblicamente nemmeno un “grazie” al popolo americano (un grazie che è arrivato solo successivamente nell’intervista a Fox tv), di aver cercato di mettere in cattiva luce il presidente e i suoi collaboratori di fronte alla stampa riunita nello Studio Ovale. Forse qualcuno gli avrebbe dovuto ricordare che il nazionalismo ucraino non è maggiore del nazionalismo americano, dell’orgoglio (a volte anche strafottente) di un Paese che sa di essere il numero uno al mondo e che oggi si sente spremuto economicamente dagli europei (Ucraina in testa), i quali oltretutto hanno un consistente surplus negli scambi commerciali, cioè guadagnano molto di più di quando spendono per importare le merci da Oltreoceano.
Zelensky ha preso sotto gamba il programma elettorale con cui Trump è arrivato alla presidenza, chiaro – anche troppo – nelle intenzioni e nelle strategie, non si è reso conto che i suoi argomenti per convincere Biden ad aprire i cordoni della borsa, con Trump non funzionano, anzi sono controproducenti. Sul Corriere della Sera dice il politologo ucraino, Oleg Saakyan: “I nostri politici e diplomatici non avevano calcolato il rischio, sebbene ci fossero tante premonizioni”.
Ha fatto bene Trump? Di primo acchito chiunque direbbe di no, è insopportabile, ma bisognerà vedere come evolveranno gli eventi. Perché soprattutto in politica internazionale contano i risultati. E’ inutile continuare a insultare Putin, dandogli via via del pazzo, del dittatore, descrivendolo come un Hitler o uno Stalin. Dicendo che con lui non si può trattare. Perché alla fine o lo si sconfigge militarmente (e l’Europa non pare intenzionata ad allargare il conflitto) o si va a patti, cercando di salvare il salvabile, che poi vuol dire salvare l’indipendenza e la democrazia ucraine. Senza dimenticare che il conflitto Urss-Ucraina non è iniziato tre anni fa, ma nel 2014 con tanto di cannonate sparate da una parte e dall’altra. Tutto è stato sottovalutato e per anni l’Europa ha chiuso gli occhi e continuato a fare affari con la Russia.
E non si sottovalutino – questa volta da parte dell’Europa – i segnali che arrivano dagli Stati Uniti in termini di disimpegno, ci sono precedenti eloquenti: pensiamo al ritiro dal Vietnam del Sud o dall’Afghanistan, decisi senza preoccuparsi troppo di che fine avrebbero fatto quelli che loro avevano sostenuto. Per gli Usa – forse più che per altre nazioni – conta il detto “il gioco non vale più la candela”. Si chiama mentalità utilitaristica, quella mentalità che a noi europei tanto piace quando ci fa comodo per giustificare la deriva egoistico/individualistica dei nostri comportamenti