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Carola Vai

Per costruire il futuro è indispensabile conoscere  e capire il passato. Pertanto, mentre Torino e il Piemonte affrontano le sfide del domani, scrutare nella storia non è solo un esercizio culturale, ma un obbligo, soprattutto in merito eredità e residenze sabaude: palazzi, castelli, musei, pinacoteche. Tutte risorse utili dal punto di vista dell’ identità e dei valori piemontesi in prospettiva italiana e internazionale, ed anche sotto il profilo economico. Il primo di tali luoghi è il Palazzo Reale, centro di potere del regno sabaudo per almeno tre secoli, nel cuore di #Torino. Nella residenza protetta dall’#Unesco dal 1997, benché quasi rustica se paragonata ad altre ben più fastose sparse per l’Europa , tutto è prezioso: arazzi, arredi, porcellane, orologi, pitture, pavimenti. Aperto al pubblico, è meta continua di visitatori e spesso ospita vertici, convegni ed eventi di rappresentanza anche politica.

L’edificio nato come Palazzo Vescovile, diventa Palazzo Ducale  nel 1563 quando, resa Torino capitale del ducato, Emanuele Filiberto di Savoia ci va a vivere con la sua corte. Per adeguare il palazzo alle nuove esigenze il Duca già nel 1564 si affida ad Ascanio #Vittozzi, ingegnere militare che al servizio dei Savoia fino alla morte, nel 1615, contribuisce in modo decisivo alla trasformazione urbanistica di Torino. Durante la reggenza di Maria Cristina al Vittozzi succedono Carlo di #Castellamonte, Carlo Morello e molti altri artisti desiderosi di contribuire a migliorare bellezza e comodità della residenza. Circa 150 anni più tardi, nel 1713, il Palazzo Ducale diventa Palazzo Reale con l’incoronazione di Vittorio Amedeo II a re di #Sicilia. Il neo re porta a Torino il grande architetto Filippo Juvarra. E’ #Juvarra a firmare la meravigliosa gradinata, nota come la “Scala delle Forbici”, che collega il primo al secondo piano . E tanti altri lavori ben visibili anche oggi. Il suo successore, Benedetto Alfieri, prosegue l’opera di arricchimento decorativo dello stabile.

Sala da ballo

Il Palazzo, testimone di giochi e intrighi  di potere ed espressione del lusso per decenni, comincia a perdere il suo ruolo e la sua bellezza con l’invasione napoleonica quando subisce pesanti saccheggi. Sconfitto Napoleone, re Carlo Alberto torna nella reggia che riprende così la sua funzione di simbolo del potere e conosce una nuova stagione di splendore. Tra i molti architetti impegnati a renderlo gradevole pur facendo enorme attenzione ai costi e all’impegno finanziario, c’è il bolognese Pelagio Palagi autore della magnifica cancellata in ferro fuso (1835) innanzi al Palazzo Reale, che separa la piazzetta Reale da piazza Castello, e in un certo senso fa apparire meno pesante la sensazione di austerità sabauda mostrata dalla facciata esterna della residenza. In questo periodo la reggia viene adattata alle nuove esigenze con la creazione di sale e saloni di rappresentanza, sfarzosi per il piccolo Regno, ma ben più modesti di quelli francesi che cerca di imitare.

Sala da pranzo

Dunque sorgono vari nuovi locali come, ad esempio, il Salone degli Svizzeri, una grande Sala da Ballo, la Sala del Consiglio detta così  perché qui Carlo Alberto dopo averla fatta trasformare dall’architetto Palagi da antica camera da letto in un ambiente idoneo all’attività politica, nel 1831 comincia a presiedere il Consiglio dei Ministri. Il locale che ospita anche un busto del sovrano collocato tra le due finestre affacciate sul giardino, è noto pure come “Camera dei Santi” perché alle pareti sono appese molte tele raffiguranti personaggi di Casa Savoia in fama di santità. Inoltre, nelle stessa Sala, Carlo Alberto il 4 marzo 1848 firma lo Statuto Albertino.

Sala del Consiglio

Il sovrano si fa infine costruire una “zona di comando” annessa al Palazzo e costituita da Segreterie, Uffici, Archivi di Stato e Teatro Regio. Una vivacità e vitalità destinata a svanire con l’unità d’Italia, nel 1860. Il Palazzo, infatti, pur amato da Casa Savoia comincia perdere la sua funzione di reggia con il trasferimento della capitale del Regno da Torino a #Firenze, poi a #Roma dove i sovrani scelgono di vivere nell’edificio oggi sede del #Quirinale.Caduta la monarchia, con l’arrivo della Repubblica il Palazzo Reale di Torino, dopo un periodo di chiusura,  passa sotto il controllo della Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici del Piemonte.

Ed oggi molti suoi ambienti, compresa la sala del trono, sono meta di un pubblico sempre più numeroso. Del resto il Palazzo, confluito nel 2016 nel “pacchetto” dei Musei Reali, con la Galleria Sabauda,  l’Armeria Reale, la Biblioteca Reale, il Palazzo Chiablese e il Museo di antichità, è entrato nel circuito  turistico delle mete nazionali e internazionali. E attualmente è testimone visibile di tutti i celebri artisti che vi hanno lavorato dal XVII al XIX secolo; dei maggiori fatti storici, della moda, della sobrietà, della ruvidezza e degli stili che hanno caratterizzato Casa Savoia fino alla nascita dell’Italia. Una reggia che bene esprime la volontà e la necessità di comandare dei suoi inquilini, ed un tranquillo desiderio di lusso e bellezza, senza tuttavia rivelare l’ansia di apparire diffusa tra i regnanti di altre dinastie europee.

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)