Paola Claudia Scioli
#Italiaunicaqui – È impressionante per chiunque non sia parmense guardare le immagini affiancate della facciata di San Francesco del Prato prima e dopo i recenti restauri. Sembra impossibile, ma qualcuno a inizio Ottocento è riuscito a trasformare una sobria chiesa gotica in un carcere (uno dei pochi esempi in Europa), facendo della facciata un colabrodo di finestroni con solide inferriate a prova di evasione.
È così che la chiesa simbolo del primo insediamento dei Frati Minori a Parma, dopo un periodo nel Quattrocento di particolare attenzione da parte dei cittadini facoltosi, fu trasformata in una galera, dove furono rinchiusi anche noti personaggi come Giovannino Guareschi, per essere progressivamente abbandonata tra il 1970 e il 1992. Dal 16 febbraio 2018 sono in corso i restauri che coinvolgono non solo le istituzioni (tra le quali anche l’Università degli studi di Parma) e gli esperti, ma l’intera cittadinanza, replicando la collaborazione con la popolazione che ha portato alla realizzazione di questo complesso otto secoli fa. Ora, negli anni (2020-2021) in cui Parma è Capitale italiana della Cultura, questo grandioso progetto di restauro sta restituendo il complesso di San Francesco del Prato alla città non solo come luogo di culto, ma anche come centro culturale, dove si alterneranno spettacoli, concerti, eventi e attività accademiche, rendendolo di nuovo un punto di riferimento per parmensi e non.
I primi risultati, a dispetto del coronavirus, sono già sotto i nostri occhi. Vedere il rosone di una chiesa a distanza ravvicinata è un’emozione che non si prova tutti i giorni. Dal 19 settembre fino all’8 novembre è possibile, salendo sulle impalcature da dove lo sguardo spazia su un panorama suggestivo, tra gli antichi tetti e le cupole della “piccola Parigi”. Sono riprese, infatti, le visite guidate di circa un’ora allo spettacolare rosone a 16 raggi, realizzato nel 1462 da Alberto da Verona in una cornice di terracotta policroma, e alla bella facciata della chiesa, riportata agli antichi splendori. La costruzione della chiesa, in stile gotico, iniziò nel 1240 ad opera di un gruppo di frati francescani, provenienti da Assisi, su un prato (da cui il nome) donato loro dalla città di Parma, che collaborò attivamente alla sua realizzazione.
Lo stile sobrio rispetta il concetto di povertà dettato dagli Statuti del Capitolo Generale di Narbonne di San Bonaventura del 1260. Nessuna volta se non sull’altare maggiore, nessuna decorazione ricca e abbondante, nessun affresco, nessun capitello scolpito a delimitare le otto colonne che separano la navata centrale dalle navate laterali, nessuna vetrata dipinta, copertura della navata a capriate a vista in semplice legno, un esile ed elegante muro che collega gli ampi archi acuti al tetto, una facciata con un portone centrale affiancato da un ingresso in corrispondenza della navata destra e al centro in alto un grande rosone in terracotta policroma il cui diametro di 3,7 metri (corrispondente a una pertica parmigiana) simboleggia l’eternità. Quattro le fiammelle di fuoco al centro, che rappresentano il sole, dalle quali scaturiscono i 16 raggi, numero questo che rappresenta la casa di Dio, il doppio delle 8 beatitudini evangeliche e 8 sono i centri concentrici, decorati con figure geometriche e floreali (in uno solo ci sono immagini zoomorfe) nei quali è incastonato il rosone. Due monofore alle stremità della facciata sono le uniche finestre appartenenti alla chiesa originale. Il restauro le ha riportate in luce, nascondendo le numerose finestre con inferriate realizzate nel periodo in cui la struttura era diventata un carcere. Si vedono quasi in trasparenza ora, lasciate a ricordo delle ferite imposte in quei 200 anni alla chiesa.
Sul lato opposto, l’abside centrale scontro-incontro tra spinte e contro-spinte tipiche dell’arte gotica sottolineate dalle nervature in cotto, a delimitare le 10 vele che culminano nella volta.
Le cappelle, illuminate da grandi monofore, mostrano le tracce delle aperture costruite durante il periodo carcerario. Situazione che cambiò totalmente nel Quattrocento, quando l’interesse dei parmensi per la chiesa portò alla decorazione delle pareti con affreschi che sono stati riportati parzialmente alla luce nel 1974, dopo essere stati nascosti, nel periodo in cui la chiesa divenne carcere, sotto uno strato di intonaco grigiastro, in particolare nell’abside dove è venuto alla luce un maestoso Cristo pantocratore di origine bizantina con una mano benedicente e un’altra che regge il globo.
Il campanile, costruito tra il 1506 e il 1520 in linea con la semplicità della chiesa, è anch’esso stato trasformato in prigione nell’Ottocento, quando i muri di cinta vennero rialzati e trasformati in alti camminamenti con garitte di osservazione, la navata centrale fu utilizzata come laboratorio, le navate laterali furono soppalcate per far posto alle celle e ai servizi di detenuti e guardie, l’altare maggiore, gli altari delle cappelle, il coro ligneo finemente intagliato furono distrutti, tele e tavole dipinte furono disperse e gli affreschi ricoperti da intonaco grigiastro. Tesori nella maggior parte perduti per sempre.
Per informazioni:
Comitato per San Francesco del Prato
Via del Prato, 4 – 43121 Parma
info@sanfrancescodelprato.it
Per prenotazioni:
Tel. 371 1663004 (dalle ore 17 alle 20)
visite@sanfrancescodelprato.it