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Dario Gedolaro

Finalmente qualcosa si muove per cercare di rimediare alle inefficienze del Servizio Sanitario Nazionale, che pure – diciamolo subito – ha molte benemerenze. Torna d’attualità l’annosa questione dei 37 mila medici (e quasi 7 mila pediatri) di famiglia, detti anche di base o di medicina generale. Il governo ha allo studio un provvedimento per farli diventare dipendenti del SSN. Lo rivela il Corriere della Sera, che cita un progetto del ministro alla Salute, Orazio Schillaci. Forse è la volta buona, ma se ne discute già da qualche anno.

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci

Nel settembre 2021 gli assessori regionali alla Sanità avevano sottoscritto un documento che sollecitava un diverso inquadramento di questi medici: «La pandemia da Sars-Cov-2 ha evidenziato ulteriormente che il profilo giuridico del medico di medicina generale e i loro contratti collettivi nazionali non sono idonei ad affrontare la gestione delle multi-cronicità, l’aumento delle fragilità, la programmazione dell’assistenza domiciliare”.

A oggi il medico di famiglia è un lavoratore autonomo che viene pagato dal Servizio Sanitario Nazionale a seconda del numero dei pazienti e dell’anzianità. Il suo obbligo di orario va da un minimo di 5 ore la settimana a un massimo di 15 (con l’eccezione di quelli che sono autorizzati a superare il numero di 1.500 pazienti e che quindi possono arrivare a fare 20 ore). Insomma non proprio orari da stakanovisti anche a fronte dei guadagni che vanno da un minimo di 71.500 euro lordi (2.700 euro al mese) per chi ha pochi pazienti e pochissima anzianità professionale (meno di tre anni). Per poi crescere a 123 mila euro lordi, fino a oltre 160 mila euro lordi (7.200 euro al mese) per chi ha più di 20 anni di anzianità professionale.

Secondo molti esperti i medici di base rappresentano un tappo per l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, causa delle lunghe liste di attesa e del sovraffollamento dei pronto soccorso. Infatti per molti di loro la principale attività è quella di prescrivere ricette di medicine ed esami dati dai colleghi specialisti, le visite sono molto spicce, quelle domiciliari praticamente inesistenti. Fuori dell’orario è difficile avere risposte per telefono e sabato e domenica gli studi sono chiusi.  Molto lavoro viene quindi scaricato sui pronto soccorso e sugli specialisti, i cui tempi di visita sono spesso molto lunghi: le famose liste di attesa, che si allungano anche per gli esami (tac, ecografie, radiografie ecc.).

La riforma che porta avanti il ministro Schillaci rappresenta una sorta di “rivoluzione” della medicina di base. Due le novità principali:

  • Il medico di base diventa dipendente del Servizio Sanitario Nazionale e il suo orario di lavoro viene equiparato a quello dei medici ospedalieri, 38 ore settimanali
  • Oltre alle ore in studio (da 6 a 24 la settimana) il medico di base dovrà seguire le indicazioni del distretto, alternando quindi l’attività rivolta ai propri assistiti con quella messa a disposizione di tutti, cioè anche per visitare, fare vaccinazioni e rispondere alle necessità dei pazienti degli altri medici di base della zona.In questo modo verrà garantita ai cittadini la presenza di un medico di famiglia durante l’intera giornata e tutta la settimana. Nasceranno le “Case di comunità” o ambulatori pubblici che le Regioni dovranno mettere a disposizione per assicurare la capillarità dell’assistenza, dove si faranno anche elettrocardiogrammi, ecografie, spirometrie, ecc.. Nessun Comune, neppure il più piccolo, dovrà rimanere sguarnito.

Il cambiamento sarà graduale. I nuovi medici di famiglia saranno assunti, mentre quelli già in servizio potranno continuare a essere liberi professionisti, a meno che siano loro stessi a decidere di passare alle dipendenze del Servizio sanitario nazionale. I tempi di questa trasformazione non dovrebbero essere molto lunghi visto che il 77% dei medici di famiglia ha più di 55 anni e che, tra il 2025 e il 2030, sugli oltre 37 mila medici di base in servizio, si stima che ne vadano in pensione intorno ai 10 mila.

Studio Medico

Ovviamente si vanno a toccare situazioni e abitudini consolidate e le reazioni negative non mancano; dall’Enpam (l’ente che eroga le pensioni) che teme il passaggio dei medici (e pediatri) di base all’Inps, alla Fimmg che riunisce il 63% dei medici di base iscritti al sindacato. Difendono uno status quo evidentemente difficilmente difendibile vista la situazione della medicina territoriale. Chi non è più giovane ricorda l’impegno dei vecchi medici della mutua e dei medici condotti, che non solo visitavano in studio, ma facevano anche piccoli interventi (togliere il cerume dalle orecchie, piccole cuciture, punture, in qualche caso togliere un dente ecc.) e molte visite a domicilio. Oggi una mamma che abbia un bimbo con la febbre alta si sente dire dal pediatra di base “Lo porti in studio, non si muore per un po’ di febbre”.

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)