Dario Gedolaro
Che i francesi non abbiano mai stimato molto i loro “cugini” italiani è un fatto assodato. La conferma viene anche dalla vicenda Stellantis di cui oggi molto si dibatte, soprattutto dopo le frasi critiche del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Battute che hanno scandalizzato quei settori di sinistra, dalla politica al giornalismo, dal sindacalismo alla finanza che hanno ancora il timore reverenziale nei confronti di quella che una volta era la famiglia più potente d’Italia, gli Agnelli. Accade che anche un giornalista/storico di grande valore, come Paolo Mieli, non osi emanciparsi da questa sudditanza psicologica.
Giorgia Meloni è stata accusata di “lesa maestà” per la frase pronunciata durante un’intervista di Nicola Porro: “Ho letto una prima pagina di Repubblica che diceva ‘L’Italia è in vendita’. Ora francamente che quest’accusa mi arrivi dal giornale di proprietà di quelli che hanno preso la Fiat e ceduta ai francesi, hanno trasferito all’estero sede legale e sede fiscale, hanno messo in vendita i siti delle nostre storiche aziende italiane, non so se il titolo fosse un’autobiografia però le lezioni di tutela dell’italianità da questi pulpiti anche no”. Sempre su “Quarta Repubblica” Porro ci è tornato e fra gli ospiti c’era Mieli, il quale è apparso quasi inorridito per quella che riteneva una caduta di stile della premier, che aveva chiamato in causa l’editore di Repubblica, John Elkann.
Giorgia Meloni ha anche criticato l’operazione Stellantis alla Camera. Rispondendo a un’interrogazione di Italia Viva ha parlato della “presunta fusione fra FCA e Gruppo francese PSA, che celava in realtà un’acquisizione francese dello storico gruppo italiano tanto che oggi nel CDA di Stellantis siede un rappresentante del governo francese”. Aggiungendo: “E non è un caso se le scelte industriali del gruppo tengono in considerazione molto più le istanze francesi rispetto a quelle italiane. Il risultato è che in Francia si produce molto più che in Italia, dove siamo passati da oltre 1 milione di auto prodotte nel 2017 a meno di 700 mila nel 2022, così come, secondo i sindacati, in Italia sono andati persi oltre 7 mila posto di lavoro”.
“Vogliamo tornare a produrre in Italia – ha concluso Giorgia Meloni – 1 milione di veicoli l’anno con chi vuole investire davvero sulla storica eccellenza italiana (quindi anche un produttore straniero, magari cinese, ndr.). E questo significa anche che se si vuole vendere sul mercato mondiale un’auto, pubblicizzandola come un gioiello italiano, allora quell’auto deve essere prodotta in Italia e questa è un’altra questione che noi intendiamo porre. Queste sono le regole con l’attuale governo e valgono per tutti”.
A parte la ridicola accusa di “lesa maestà”, il problema vero è: Meloni ha ragione o torto ad attaccare Stellantis?
Inutile sentire il “teatrino” stucchevole della politica, con l’opposizione sempre e comunque contro e la maggioranza schierata in ogni caso a favore. In nostro soccorso viene un’altra intervista, quella concessa da Luca Cordero di Montezemolo a La7. Non dimentichiamo che Luca Cordero di Montezemolo è stato uno dei più fedeli e autorevoli collaboratori della famiglia Agnelli, tanto da ricoprire le cariche di presidente della Fiat e presidente della Ferrari. Non si può dunque pensare che non abbia competenza e titolo per parlare. Ecco allora qual è il suo pensiero: “Sono molto preoccupato dall’inesorabile deindustrializzazione del Paese. Oggi non abbiamo più un’azienda automobilistica in Italia. La verità è che tutte le decisioni che riguardano il mercato italiano sono prese a Parigi. Siamo arrivati a un punto tra l’assurdo e l’umiliante, cioè che una macchina come la 600 venga prodotta in Polonia. Vedere produrre la 600 in Polonia, quando tutti gli stabilimenti ex Fiat sono in cassa integrazione, è una cosa che non mi pare vera”.
E ancora: “La Meloni ha ragione a dire che le auto pubblicizzate come italiane debbano essere prodotte in Italia. Insieme a Germania e forse meglio della Francia, eravamo il Paese che produceva le più belle automobili del mondo. Oggi, visto che è così calata la produzione da quando è entrata in campo Stellantis, facciamo almeno in modo che delle aziende automobilistiche straniere vengano a produrre in Italia“.
E per finire: “Molti fornitori italiani (del settore auto, ndr.) mi hanno detto di aver ricevuto una lettera in cui si promuoveva il Marocco in termini di investimenti. E’ una brutta cosa. Io credo che in questo momento non abbia senso, avendo stabilimenti e fornitori così di qualità, così validi, che rischiano di andare in grande difficoltà”.
Affermazioni chiare e inequivocabili. Per Torino altro allarme, perché ci vanno di mezzo decine e decine di aziende dell’indotto, oltre a Mirafiori (come ha prontamente minacciato l’AD di Stellantis, Tavares). Purtroppo si è arrivati a questo punto anche per l‘insipienza della nostra classe dirigente, politica in particolare. I cittadini ci hanno messo, poi, del loro, incaricando di fare il sindaco una persona inadatta e impreparata, a capo di una coalizione altrettanto dilettantesca, Chiara Appendino. Si sono così persi 5 anni, anni cruciali in cui si è consumata l’operazione Stellantis e Milano si è accaparrato tutto e di più (non è un mistero ad esempio che Intesa Sanpaolo sia sempre più milanese). A questo proposito, ricordo che proprio nei giorni scorsi con una firma fra Italia e Unione Europea è stata sancita ufficialmente l’assegnazione a Milano di una delle tre sedi europee del Tribunale Unificato dei Brevetti (Tub). Torino aveva provato a candidarsi, ma il nostro sindaco Appendino aveva accettato il solito contentino proposto dai suoi compagni di partito, gli allora Premier e ministro degli Esteri, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio: l’Istituto nazionale di intelligenza artificiale. Peccato che non le avessero spiegato che si trattava di uno spezzatino, come ha ammesso il sindaco Stefano Lo Russo appena insediatosi. Torino ospiterà solo una delle 10 sedi previste dell’Istituto nazionale dell’intelligenza artificiale, quella del settore dell’automotive e dell’aerospazio. Bene. Chiusa la disastrosa parentesi della giunta Appendino, sarebbe ora che la città dimostrasse di avere una classe dirigente (non solo politica) in grado di contare a livello nazionale e di rilanciare veramente la città.