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Dario Gedolaro

Chi è stato Silvio Berlusconi? Che giudizio si può dare di lui? Il cittadino medio è sicuramente frastornato in questi giorni dalla grandinata di articoli e servizi televisivi sulla morte dell’imprenditore-politico milanese, protagonista della vita politica italiana per un trentennio. Articoli che vanno dalla lode più sperticata alla critica più velenosa.

Bisogna premettere che per inquadrare personaggi di questo calibro si dovrebbe lasciare passare un po’ di tempo, in modo da far sedimentare gli umori, raffreddare le passioni, dare la possibilità agli storici di indagare più a fondo e di valutare più obiettivamente. Certo Berlusconi era un personaggio che divideva. E’ entrato in politica tirando calci e chi se li è presi sente ancora il dolore dei lividi. E non è stata la sola Sinistra il suo più acerrimo avversario. Basti pensare all’ostilità palese che aveva nei suoi confronti una buona parte della destra democristiana, in particolare la corrente del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, una bella fetta del Partito Liberale (l’ex segretario del Pli, on. Valerio Zanone, aderì prima all’Ulivo e poi alla Margherita), per non parlare di quel “salotto” dell’Italia altolocata che militava nel Partito Repubblicano. Se poi si pensa che da sinistra vi furono significative conversioni al berlusconismo (molti esponenti della sinistra Dc, come l’attuale ministro Guido Crosetto, intellettuali come Saverio Vertone e Giuliano Ferrara, tanto per citare alcuni) e che anche i radicali (Emma Bonino in testa) gli finirono in braccio, si capisce bene come sia sbagliato sparare giudizi spicci e superficiali sul personaggio.

(foto Presidenza del Consiglio)

Berlusconi fu un ciclone per la politica italiana e per i partiti tradizionali usciti con le ossa rotte dalle inchieste di “Mani pulite”, in particolare quelli della vasta area di centro sinistra che governavano il Paese. Lui e la Lega di Bossi furono le due novità dirompenti, mentre il vecchio Partito Comunista cercava di camuffarsi cambiando nome per farsi perdonare non solo certe “marachelle” tangentiste, ma anche la contiguità pluridecennale con gli oligarchi sovietici, da cui arrivavano anche copiosi finanziamenti. Non certo una bella cosa visto che, esistendo i due “blocchi” e aderendo l’Italia alla Nato, l’Urss era “il nemico” (un po’ come se oggi qualche partito venisse finanziato dalla Russia di Putin). Ma anche con la Lega i rapporti di Berlusconi non sono stati rose e fiori. Quella dei primi anni era la Lega forcaiola, dei politici tutti ladri e non c’era molta assonanza con l’imprenditore milanese vicino a Bettino Craxi. E, infatti, il primo governo Berlusconi cadde per colpa della defezione della Lega. Insomma, più si approfondisce e più ci si rende conto che la comparsa del personaggio Berlusconi ha scompaginato i parametri classici di giudizio sulla politica italiana.

Detto questo la prima domanda da farsi è: perché Berlusconi è sceso in politica? Anche qui i faciloni hanno la risposta pronta: “Per i suoi interessi economici e imprenditoriali”. Ma forse non sanno che prima di decidere tentennò parecchio, si consultò con un bel po’ persone del suo giro e della vecchia politica, fu vicinissimo a sostenere il “rottamatore” dell’epoca, quel Mariotto Segni che amava il sistema uninominale e la repubblica presidenziale e che sembrava destinato a raccogliere molti consensi. Glielo consigliavano i suoi più stretti collaboratori, facendogli paventare quello che poi è effettivamente accaduto: e cioè che se si impegnava in prima persona finiva nel tritacarne della polemica partitica, dei colpi bassi, dei tentativi di delegittimazione. Le rivelazioni successive dell’ex Presidente dell’Associazione nazionale Magistrati, Luca Palamara, hanno dimostrato come la magistratura abbia fatto di tutto, trovando anche qualche appiglio, per toglierselo dai piedi: “L’Anm – ha recentemente detto Palamara in un’intervista- è stato il più forte oppositore politico di Berlusconi. E parallelamente c’è stata la stagione dei processi, una sorta di tenaglia verso chi ricopriva posizioni di primissimo piano”.

(foto Presidenza del Consiglio)

Se Berlusconi un qualche interesse imprenditoriale poteva avercelo (era caduto il suo protettore Craxi e poteva temere qualche colpo basso dai nostalgici del monopolio della Rai), c’è da credere che il personaggio non sottovalutasse il vantaggio di cercare “padrini” politici, rimanendo dietro le quinte. E allora credo che sulla decisione di scendere in campo abbiamo pesato fattori ancor più convincenti per lui. Innanzi tutto, il suo anticomunismo stile Peppone e Don Camillo, quello di un imprenditore lombardo, una regione ad alto tasso democristiano e quindi anticomunista. Regione in cui persino i socialisti (vedi Craxi) mal sopportavano l’ingombrante Pci e le sue lusinghe. D’altronde, proprio la diffidenza verso gli ex comunisti portò una parte della sinistra Dc ad appoggiarlo, era la cosiddetta “sinistra sindacale”, quella che per decenni aveva avuto a che fare nelle fabbriche e negli uffici con i “compagni” che la incalzavano e disprezzavano, era il mondo degli iscritti alla Cisl, che infatti in un sondaggio risultava in buona maggioranza votare per Berlusconi.

E poi non bisogna sottovalutare l’egocentrismo del Cavaliere, la sua convinzione che “tutti gli italiani mi vogliono bene” e che sarebbe stato l’unico in grado di modernizzare il Paese, riportarlo ai fasti del “miracolo economico”, sburocratizzandolo e abbassando la pressione fiscale. Berlusconi amava le battute, le frecciate polemiche, le frasi ad effetto contro gli avversari politici, anche se poi, come quegli stessi avversari hanno ora ammesso, non era vendicativo, non spazzava via chi gli tagliava la strada, non aveva proprio la stoffa dell’autocrate.

Certo, per molti aspetti era rimasto un gran venditore di case e di pubblicità, un piazzista che ti estenuava con le sue parole e ti incantava con le sue promesse. Tutto il contrario dei vecchi politici della cosiddetta “prima repubblica”, navigatori scafati, che parlavano il politichese per non sbilanciarsi mai troppo. Per carità, personaggi anche di notevole rilievo, esperti leader, di cui oggi si sente in parte la mancanza.

(foto Presidenza del Consiglio)

Il giudizio su Berlusconi non può dimenticare la sua incapacità di separare la vita privata da quella pubblica. Anzi, non riusciva proprio a capire perché certe sue debolezze (che poi sono le debolezze di molti italiani) dovesse nasconderle, perché non dovesse vantarsi di essere un donnaiolo, non dovesse comportarsi da “bauscia” (l’atteggiamento gradasso proprio di molti imprenditori “made in Milan”), non dovesse continuare a fare il barzellettiere anche nelle occasioni ufficiali. E così ha dato il fianco e spazio ai suoi avversari: non senza ipocrisia, facevano i moralisti proprio quelli che poi erano i sostenitori di tutte le trasgressioni possibili e immaginabili, dal sesso libero di ogni genere agli spinelli. Insomma, su questo fronte è stato ingenuo, si è inimicato, fra l’altro, una bella fetta dell’elettorato femminile, cui proprio non andavano giù le sue infedeltà, le sue avventurette (vere o presunte) con ragazze molto più giovani di lui, le sue “serate eleganti” che avevano indignato la moglie Veronica (la quale ha pensato bene di rendere pubblica la sua ira sul quotidiano che più osteggiava Berlusconi, La Repubblica).

Persino l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, nella sua inconsueta omelia funebre non si è sbilanciato e ha delineato un personaggio dalle mille sfaccettature “con ammiratori e detrattori”. Un uomo “che ha cercato di mettere a frutto i talenti ricevuti “, ma anche un “uomo d’affari”, che spesso guarda “ai numeri a non ai criteri”, un politico, che come tale è “un uomo di parte”. Insomma, l’ardua sentenza ai posteri.

 

 

Author: Carola Vai

Laureata in Lingue e Letterature straniere, giornalista e scrittrice. Ha lavorato in varie testate tra le quali: “la Gazzetta del Popolo”, “La Stampa”, “Il Mattino” di Napoli, “Il Giornale” di Montanelli. Passata all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) dal 1988 al 2010, è diventata responsabile della redazione regionale Piemonte-Valle d’Aosta. Relatrice e moderatore in convegni in Italia e all’estero; Consigliere dell’Ordine Giornalisti del Piemonte fino al 2010, poi componente del consiglio di amministrazione della Casagit (Cassa Autonoma Assistenza dei Giornalisti Italiani) dove attualmente è sindaco effettivo. Tra i libri scritti “Torino alluvione 2000 – Per non dimenticare” (Alpi Editrice); “Evita – regina della comunicazione” (CDG, Roma ); “In politica se vuoi un amico comprati un cane – Gli animali dei potenti” (Daniela Piazza Editore). "Rita Levi-Montalcini. Una donna Libera" Rubbettino Editore)