Dario Gedolaro
Un dato è rilevante e merita grande considerazione: Stefano Lo Russo è diventato sindaco praticamente con gli stessi voti del suo compagno di partito Piero Fassino, che cinque anni fa venne sonoramente sconfitto da Chiara Appendino. E’ dunque evidente la disaffezione dell’ elettorato torinese, la disillusione del “tanto non cambia niente”. Un astensionismo incredibile (sfiora il 60%), ancora più se si pensa che i due candidati al ballottaggio erano degnissime persone, un professore del Politecnico (la più prestigiosa istituzione scientifico-educativa della città) e un serio imprenditore con interessi culturali (ha ben operato come presidente della Film Commission). Come è potuto accadere che i disciplinati torinesi, così ligi a partecipare al più importante appuntamento di una democrazia, il voto, si siano disinteressati in tanto grande numero alla scelta del futuro sindaco?
Mi vengono in mente alcune considerazioni. La prima è la delusione cocentissima nei confronti dei 5 anni targati Cinque Stelle e di quel sindaco ragazzina che non ne ha azzeccata una. La seconda è la diffidenza per le giunte di centro sinistra che non avevano saputo invertire il trend di decrescita della città, che avevano sbagliato ricette, che si erano illuse che le Olimpiadi fossero la panacea di tutti i mali (e invece avevano lasciato un buco molto rilevante nel bilancio comunale), che avevano “benedetto” lo sciagurato inglobamento della più grande banca cittadina in un istituto di credito milanese con conseguenze negative per l’economia locale, che pensavano di turare i buchi lasciati da industria e finanza con cultura e turismo. A questo proposito cito un solo dato che chiarisce bene la differenza: nel Salone del Libro (salvato in extremis dall’emigrazione nella vorace Milano) i lavoratori direttamente impegnati sono circa 90; negli ultimi 10 anni l’indotto automobilistico (cioè le aziende che producono componenti per le vetture) ha perso 32 mila posti di lavoro. E non si dica che comunque il Salone del Libro fa da volano per lo sviluppo di attività collaterali (come alberghi e ristoranti), perché la stessa cosa (se non in misura maggiore e più continuativa) la fa l’industria/finanza. Basta parlare con un taxista per verificarlo.
D’ altronde, anche se quella ricetta fosse stata valida, non ha comunque dato tutti i frutti sperati, come dimostra la scarsità di attività generate dal nostro più importante polo congressuale/fieristico, il Lingotto, una pochezza evidenziata in maniera inequivocabile dal gestore del Centro Fiere, i francesi di Gl Events, che hanno minacciato di andarsene se gli enti locali non mettevano mano al portafoglio e cogestivano il traballante baraccone. Doccia fredda finale – che ha raffreddato anche coloro i quali avrebbero magari scelto il candidato di centro-destra – sono state le benevole prese di posizione di Lega e Fratelli d’ Italia nei confronti dell’ ottusità palese dei “No Green Pass”.
Insomma, dopo 5 anni di Cinque Stelle – conditi da droni, piste ciclabili, monopattini ed entusiastiche presenze del sindaco alle manifestazioni Lgbt – il nuovo sindaco ha l’ arduo compito di ridare entusiasmi e slancio alla città. Lo ha capito benissimo il buon Lo Russo, che infatti ha subito dichiarato: “Farò ripartire la città”. Non avrà una maggioranza stabilissima, visto che il Pd (al contrario dei Cinque Stelle la scorsa volta) non ha la maggioranza assoluta dei seggi in Consiglio Comunale. Gliene spettano 17 (su 40), che salgono a 19 con la Lista Civica Lo Russo; la maggioranza la si ottiene con i seggi di Sinistra Ecologista (2), I Moderati (2) e Torino Domani (1) di mister preferenze Francesco Tresso. Il crollo dei Cinque Stelle è evidente: nel nuovo consiglio comunale avranno solo 2 seggi rispetto ai 24 dello scorsa legislatura. Ce ne faremo una ragione.
Ora, dunque, impegno e idee chiare. In campagna elettorale tutte e due i candidati hanno sciorinato ricette sostanzialmente analoghe: Torino ha bisogno di ritornare ad essere attrattiva per le attività economiche imprenditoriali, la viabilità va rimessa in ordine dopo i disastri di un assessore che non aveva nemmeno la patente, bisogna accelerare sull’ Alta Velocità e sfruttarne le opportunità, si deve contare di più a livello nazionale per ottenere dal governo attenzione e aiuti concreti, bisogna risvegliare la voglia di imprenditoria, coinvolgendo e responsabilizzando gli elementi più preparati della cosiddetta società civile e anche le grandi e potenti famiglie cittadine. Una parte dei buoi purtroppo è già fuggita dalla stalla e, come ha sottolineato qualche tempo fa il presidente della Fondazione San Paolo, si è toccato il fondo: non si può arretrare ulteriormente se non con conseguenze irreparabili per le generazioni future.