Dario Gedolaro
Negli ultimi due anni i torinesi hanno adottato settemila cani, quasi quanto il numero di bambini che sono nati in città. “Siamo – scrive La Stampa – sempre più una città a misura di cuccioli di animale anche a livello amministrativo, dove crescono le politiche rivolte ai quattro zampe”. Ma, al di là della simpatia che si può nutrire per il migliore amico dell’uomo, non è una buona notizia. Se infatti è vero, come dice ancora La Stampa, che a Torino c’è stato “un aumento sensibile e continuativo del numero di cani registrati all’anagrafe canina, erano 75.312 nel 2020, sono diventati 79.726 nel 2021, 82.247 nel 2022”, un andamento inversamente proporzionale si registra nella decrescita della popolazione a causa del bassissimo numero di nascite.
E’ un fenomeno che riguarda ormai tutta Italia e che fa lanciare ammonimenti allarmati da parte di chi si occupa di demografia, di welfare e di economia. Non si fanno più bambini e, quindi, fra qualche decennio (ma non molti, se la tendenza non si invertirà) il sistema pensionistico subirà gravi contraccolpi, le scuole si svuoteranno e si creerà un surplus di insegnanti, la sanità andrà in crisi (meno popolazione meno contributi e si sa che gli anziani necessitano di più medicine e di più cure), le imprese non troveranno mano d’opera, a meno di non ricorrere massicciamente a quella straniera.
Quindi, se può far piacere che si sia costituito alla Regione Piemonte un tavolo per il benessere animale, primo in Italia, ben si comprende come sarebbe ancor più opportuno mettere urgentemente in campo misure significative per contrastare la denatalità galoppante.
Si dice che il fenomeno è causato dalle incertezze lavorative e dai bassi guadagni delle giovani coppie, che in Italia quando fanno figli sono molto meno aiutate di altri Paesi europei. L’ anno scorso il governo Draghi si è occupato del problema, approvando l’l’Assegno unico e universale, ma l’Italia è incredibilmente il fanalino di coda (sì, siamo proprio gli ultimi) fra i 27 Paesi dell’Ue per la quota destinata agli assegni familiari rispetto all’ importo totale della spesa sociale: secondo gli ultimi dati disponibili, il 4%, meno persino di Paesi come Grecia e Cipro (quasi il 7%), e molto meno di altri Paesi come Bulgaria e Romania (oltre il 10%). In Francia e in Germania siamo al 7,5% e all’11,5%.
Insomma, sul piano del sostegno economico c’è ancora strada da fare. Ma basta? Nell’articolo sul tavolo per il benessere animale, il giornalista della Stampa, scrive: “E agli umani chi ci pensa, viene da chiedersi, e anche, un po’ più provocatoriamente, non è che con tutti questi cani verrà sempre meno voglia di fare figli?”. Ecco un tema cruciale: ma i giovani (e in particolare le giovani) hanno “voglia di fare figli?”. Insomma, si tratta solo di questioni economiche o anche culturali e antropologiche? Una spia di questa mentalità sono state le parole Elly Schlein, la radical chic che, presentando la sua candidatura alla segreteria di un Pd in crisi di identità, ha affermato: “Sono una donna. Amo un’altra donna e non sono una madre…”. E ciò per ribattere all’affermazione di Giorgia Meloni che aveva sottolineato in un comizio: “Sono una donna, sono una madre e sono cristiana”. Evidente il differente modo di concepire la vita. La Schlein sembra far parte di quella generazione del viva l’edonismo, degli apericena, delle vacanze senza l’impiccio di marmocchi, del sesso libero e “arcobaleno” che tende a sfuggire alla responsabilità di mettere al mondo figli. Di quella schiera dei tanti per cui i desideri non conoscono limiti e basta che qualcosa sia voluto perché sia ottenuto. Ma quando si tratta di maternità è tutto così semplice?
Ritanna Armeni – giornalista saggista e conduttrice televisiva, proveniente dalle file del femminismo – ha scritto in un articolo sul Foglio: “L’Italia invecchia, fa pochi figli ma l’opinione pubblica sorvola sulle vere cause della crisi demografica. L’economia non c’entra e la povertà neppure. C’entrano le nostre scelte. E c’entrano alcuni tabù che, da donne, non vogliamo ammettere”. Ha aggiunto che una dozzina di sue amiche fra i 30 e i 40 anni le hanno risposto: “Non faccio figli perché non li voglio, la mia vita mi piace così”. Concludendo: “Per alcune di loro sarebbe arrivato il momento del pentimento, quando il figlio l’avrebbero cercato, ma sarebbe stato più difficile. Quando la biologia che avevano controllato in nome della libertà si sarebbe presa la rivincita. E il corpo che non aveva voluto figli si sarebbe accorto di non poterne avere”. Riflessione troppo critica? Comunque parole che lasciano l’ amaro in bocca. E, mentre ci interroghiamo su di esse, l’ Istat ci riporta alla cruda realtà con i dati provvisori di gennaio-settembre 2022: le nascite sono circa 6 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2021″ (già in calo) e Il 2022 sarà il primo anno nella storia del nostro Paese sotto quota 400mila nuovi nati.