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Pier Carlo Sommo

Torino ha fama di essere magica e misteriosa, ma ci sono anchespettri castellani vaganti per campagne, palazzi e castelli del Piemonte. La disattenta civiltà tecnologica ormai ex metalmeccanica, ora informatica  valorizza poco il patrimonio del mistero storico, vero o falso, che invece è utile alla promozione turistica della nostra regione. Basta pensare alla Scozia: chi conoscerebbe il triste, tenebroso e freddo lago di Lochness se il gentile mostro non comparisse ogni tanto (probabilmente a cura dell’Ente Turismo)? E che dire delle nobili mogli decapitate dal maniaco Enrico VIII, che compaiono nella cupa London Towers? Con britannica precisione garantiscono un attento sfruttamento con tanto di guide informatiche plurilingue e souvenirs. Quindi perché non promuovere streghe, fantasmi e altre misteriose entità varie della nostra regione per aiutare il turismo? 

il libro Malleus Maleficarum del 1669 era il manuale per la caccia alle streghe

In Piemonte le streghe non sono appartenute solo alla leggenda.  Anche la nostra terra  ha avuto la triste realtà dei processi per stregoneria contro quelle che nel dialetto vengono chiamate masche. La fissazione di vincere il diavolo e le sue accolite, portò ad aberrazioni inverosimili.  Non fosse che i procedimenti si concludevano quasi sempre con una sentenza di morte, oggi la cosa parrebbe persino comica. Disse giustamente Voltaire in un suo saggio ” Voi avete trovato un gran numero di miserabili così pazze da credersi streghe, e dei giudici così imbecilli e così barbari da condannarle alle fiamme”

L’aspetto più drammatico dei processi per stregoneria consisteva nel fatto che giudici, imputati, e il pubblico, credevano alla presenza dei diavoli. Non erano fantasiose leggende, ma una realtà orribile e spaventosa, quasi sempre la sentenza era già pronunciata prima che iniziasse il processo. Venivano confessati, spesso per una sorta di esaltazione e di autosuggestione, crimini, fantasiosi e complessi, oggi inverosimili. I processi giungevano a coinvolgere interi paesi. Quando ciò non bastava vi era la tortura, a quei tempi normale procedura. Su personalità deboli o malate e facilmente emotive, condizionava la volontà fino a far ammettere delitti inesistenti e spesso fantastici.

Torre medievale del Ricetto di Levone. Sulla destra una scultura che ricorda le 4 streghe di Levone

La donna accusata di stregoneria veniva dai giudici, rivestita con un camice bianco e privata dei propri abiti, in quanto vi poteva essere attaccata qualche fattura delle masche sue comari.  La sfortunata veniva depilata accuratamente poiché la forza delle streghe risiede nei capelli e nei peli del corpo (la leggenda sostiene che il diavolo promette protezione e insensibilità del dolore finché sue seguaci hanno peli sul corpo). L’imputata era poi interrogata meticolosamente e, se non confessava, esorcizzata. Se dopo l’esorcismo, la poveretta insisteva nel confermarsi innocente veniva  torturata. Quando la vittima era robusta e capace di sopportare, almeno per qualche tempo, il dolore, in lei c’era ancora il diavolo e pertanto veniva condannata; se invece sotto i tormenti confessava, meglio ancora: subito al rogo!

Alle porte di Torino,  si ricorda una canavesana   storia di streghe. Nei primi anni del Quattrocento in tutto il Canavese avvenne una intensa caccia alle masche. Gli statuti di San Giorgio nel 1422, punivano con una multa  50 lire le fattucchiere; se non potevano pagarla l’alternativa era il rogo. Il castello superiore di Rivara (Torino),  edificato nel XII secolo dai Conti di Valperga, nel XV secolo divenne sede dellInquisizione dove si tennero i processi alle streghe di Forno e  Levone, che erano state imprigionate nelle carceri del maniero.

Un documento del 1474, rinvenuto tra le carte dei conti Valperga di Rivara,  informa che il 23 settembre del 1472 a Forno di Rivara, vengono bruciate tre donne del luogo. E’ ignoto il loro nome. Si sa solo che si trattava di tre sorelle, figlie di un certo Pietro Bonero.  Lo stesso documento riporta gli atti dei processi di Levone e Rivara. Nell’agosto del 1474 nel castello di Rivara, con fragili indizi  sostenuti da dicerie e pettegolezzi di paese, sulla base dell’interrogatorio, l’inquisitore formula ben 55 capi d’accusa contro quattro donne di Levone: Antonia De Alberto, Francesca Viglone, Bonaveria Viglone e Margarota Braya. Le prime tre sono presenti, la quarta è riuscita a fuggire. Nella lista dei complici ci sono 31 persone, quasi tutte donne, di Rivara, Forno, Busano, Camagna, Barbania, Rocca di Corio, Nole, S. Maurizio. Caselle, Balangero, Corio, Quazoglio e Grosso. 

Scultura in ferro nel giardino del Municipio di Levone che ricorda i roghi delle streghe

Le prove dei capi d’accusa contro le quattro levonesi sono spaventose. L’elenco comprende malefizi e cause di morte contro 23 fanciulli, contro adulti, bestiame e accidenti vari. La concretezza dell’accusa è racchiusa nella frase ripetuta ossessivamente per ogni accusa: ” e questo è vero, notorio, manifesto, come lo dimostrano la fama e la voce pubblica”. Confessate le proprie colpe, le incriminate sono affidate al braccio secolare per il rogo. Antonia De Alberto e Francesca Viglone passano in consegna al podestà del paese, il 7 novembre del 1474 sono bruciate vive a Prà Quazoglio di Levone al confine con Barbania; la terza incriminata, la Bonaveria, è ancora sottoposta a processo e il 25 gennaio 1475 è nuovamente di fronte al giudice, dalle carte non risulta altro, ma è probabile il suo successivo supplizio. La più fortunata o astuta è la Margarota Braya, fuggita all’inizio del processo e mai più rintracciata.

Scultura in ferro nel giardino del Municipio di Levone che ricorda i roghi delle streghe

Nel giorno in cui sono bruciate le streghe di Levone, si apre in Rivara un altro processo a carico di cinque donne. Di  tale procedimento, che pare di minore gravità,  si sono perse le carte per cui sono noti alcuni capi d’accusa, il nome delle accusate, ma non si conosce l’esito del processo. Le cinque masche erano: Margherita Ardizzone Cortina di Favria,  Guglielmina Ferreri e Turina Regis, di Rivara, Antonia Comba e Antonia Goleto di Forno di Rivara.

Verso la metà del  1700 si chiudono i processi per stregoneria, ma la superstizione e la magia continuano a vivere fin quasi ai nostri giorni. C’ è memoria di un’ultima masca di questo “magico”  angolo di Canavese, chiamata dal popolo Marchesa, viveva a Crosaroglio (tra Forno e Levone) nel 1839. Dalle voci popolari si racconta che diceva di essere in buoni rapporti con il diavolo, di leggere nel pensiero e di conoscere ogni sorta di magia.  Portava sempre al fianco un falcetto e, tra l’altro, sosteneva di essere in grado, legandosi una fettuccia ad una gamba, di percorrere in brevissimo tempo qualunque tratto di strada.

Ma i creduloni esistono ancora oggi. Le masche del 2000 mettono gli annunci pubblicitari prevalentemente su  INTERNET, e vivono agiatamente sugli ingenui  in perenne ricerca di filtri d’amore, sortilegi sui nemici o inverosimili visioni sul futuro. Il loro nemico non è più la Santa Inquisizione, ma i programmi televisivi satirici come “Striscia la notizia” o “Le iene”, alle cui inchieste segue la laica Guardia di Finanza che vigila sulle “magiche” comparse di patrimoni esentasse, non brucia più le maske ma i loro conti bancari…

 

In realtà non ci sono state streghe, ma i terribili effetti della credenza nelle streghe sono stati gli stessi che se le streghe fossero realmente esistite.
(Friedrich Nietzsche)

 

Author: Pier Carlo Sommo

Torinese, Laureato in Giurisprudenza, Master in comunicazione pubblica e Giornalista professionista. Dal 1978 si occupa di comunicazione e informazione nella pubblica amministrazione. Ha iniziato la carriera professionale presso la Confindustria Piemonte. Dopo un periodo presso l'Ufficio Studi e Legislativo della Presidenza della Regione Piemonte nel 1986 è diventato Vice Capo di Gabinetto e Responsabile Relazioni Esterne della Provincia di Torino Dal 1999 al 2020 è stato Direttore delle Relazioni Esterne e Capo Ufficio Stampa dell'ASL Città di Torino. Autore di saggi, articoli e ricerche, ha pubblicato numerosi volumi e opuscoli dedicati alla comunicazione culturale - turistica del territorio. È docente in corsi e seminari sui problemi della comunicazione e informazione presso le società di formazione pubbliche e private . Professore a contratto di Comunicazione Pubblica presso l'Università di Torino e Università Cattolica. embro del Direttivo del Club di Comunicazione d'Impresa dell’Unione Industriale di Torino, dal 2005 al 2008 è stato Vice Presidente. Presidente del Comitato scientifico di OCIP Confindustria Piemonte Membro del Comitato Promotore dell' Associazione PA Social, È stato Segretario Generale Nazionale dell'Associazione Comunicazione Pubblica e Istituzionale dal 2013 al 2020.