Carola Vai
Rita Levi-Montalcini, premio Nobel 1986 per la medicina, non utilizzò la sua vivace fantasia esclusivamente per la scienza, ma pure per scoprire la bellezza della natura, delle città, di usi, costumi e tradizioni di vari continenti. Rita era infatti un’accanita viaggiatrice perché dai viaggi attingeva nuove idee come si scopre indagando nella storia della sua vita.
Il prossimo 30 dicembre saranno dieci anni della sua scomparsa. Eppure è ancora come fosse tra noi con la sua avventurosa esistenza lunga 103 anni e la sua apparente indifferenza al trascorrere del tempo. Forse perché, come lei usava ripetere, “quando muore il corpo resta quello che hai fatto. Il messaggio che hai lasciato”. E di messaggi colei che i colleghi chiamavano “la principessa della scienza” ne ha lasciati moltissimi, di vario genere. Inclusa la passione per i viaggi immortalati inizialmente con dettagliate descrizioni in lunghe lettere ai famigliari e in seguito arricchite da un gran numero di fotografie. Ogni volta che veniva invitata a conferenze, convegni, incontri, dibattiti, riservava uno spazio anche di vari giorni a scoprire città, ambienti, Paesi sottoponendosi a volte addirittura a lunghe trasferte notturne come si scopre nella mia biografia : “Rita Levi-Montalcini, una donna libera” (Rubbettino editore) in vendita nelle librerie di tutta Italia.
La bellezza del viaggiare Rita iniziò a scoprirla da bambina quando insieme ai genitori, alla gemella Paola, alla sorella Anna e al fratello Gino si spostava per le vacanze sulle montagne della Valle d’Aosta, o al mare in Liguria, in Toscana, in Puglia. “Bellezza” che perfezionò subito dopo essersi laureata in Medicina nel 1936 insieme al fidanzato dell’epoca, lo sfortunato Germano Rondolini, e alla cugina Eugenia Sacerdote, a Torino. Con loro altri due futuri premi Nobel: Renato Dulbecco e Salvador Luria. Raggiunto il traguardo universitario Rita e la cugina Eugenia ottennero dalla famiglia un viaggio premio a Copenaghen dove si teneva un congresso internazionale di anatomia al quale partecipavano anche il loro docente, Giuseppe Levi ed un ex allievo di quest’ultimo, Tullio Terni, stimato professore di anatomia a Padova. Il gruppo durante le pause congressuali trascorse molte ore insieme a passeggiare e visitare la capitale danese. Anno speciale il 1936 per la futura scienziata e senatrice a vita non solo per la conquista dell’agognata laurea che segnò l’inizio della sua totale indipendenza, ma anche per lo scoppiare della propaganda contro gli ebrei definiti “nemici dei fascisti”.
La neolaureata lasciata Copenaghen e rientrata con la cugina a Torino, cercò di ignorare quanto stava capitando a livello nazionale e internazionale. Puntò subito a specializzarsi in neurologia e psichiatria. Ma nemmeno due anni di tempo l’arrivo delle “leggi razziali” costrinse Rita alla fuga. Scelse Bruxelles avendo l’opportunità di continuare a lavorare e studiare all’università belga, mentre il giovane Rondolini colpito da tubercolosi miliari morì pochi mesi dopo nella casa di famiglia, a Villadossola, nei pressi di Verbania, al confine con la Svizzera. Intanto l’arrivo dei tedeschi in Belgio obbligò Rita a rientrare a Torino. Seguirono anni difficili fatti di fughe, guerra e ancora fughe. Ed anche una storia sentimentale con Guido Bonné, suo ex compagno di studi, anche lui medico. Finiti gli atroci anni di terrore e dolore della seconda guerra mondiale, svanito il legame con Guido, rientrata all’università di Torino, Rita ottenne un invito di lavoro scientifico presso la stazione zoologica Antonio Dohrn di Napoli. Benché la città come il resto d’Italia fosse travolta dalle macerie e dalla povertà causate dalla guerra, Rita trascorse mesi di attività tranquilla riservando tutto il tempo libero a visitare Capri, Ischia, Posillipo spesso in compagnia di colleghi e giovani studiosi. Alla gemella Paola e alla famiglia descrisse in alcune lettere la spettacolare festa di Piedigrotta vissuta l’8 settembre 1946 in un’esplosione di luci, musiche, canti, cortei in costume e cibi tipici.
Ma fu con il trasferimento negli Stati Uniti che Rita divenne un’accanita viaggiatrice. “Mi imbarcai a Genova nel settembre 1947, insieme a Renato Dulbecco, diretta a New York dove siamo arrivati dopo due settimane di viaggio – raccontò tempo dopo lei stessa – e poi a St. Louis dove mi attendeva un incarico alla Washington University. Viaggiavamo su una piccola nave polacca, la Sobieski”. La traversata, “molto rilassante e meravigliosa”, durò dodici giorni e dodici notti. Di quel periodo Renato Dulbecco in varie occasioni ammise: “durante la traversata io e Rita ci vedemmo spesso, la sua presenza dava più significato al viaggio. Era sempre allegra, convinta che avremmo ottenuto molti risultati nel nostro lavoro. Aveva un ottimismo contagioso che riusciva a tratti a farmi dimenticare le molte preoccupazioni”.
Arrivati a New York i due scienziati si diressero lei a Saint Louis e lui, biologo già apprezzato, a Bloomington, nello Stato dell’Indiana, dove l’aspettava Salvador Luria giunto anni prima. Rita iniziò presto a conoscere la cittadina statunitense dove insegnerà e condurrà ricerche scientifiche per trent’anni. Tre decenni dove visitò pressoché tutto il continente americano. Viaggi fatti all’inizio in autobus anche di dieci-quindici ore come quello attraverso la Florida, l’Alabama, il Missouri. “Il pullman refrigerato nel caldo tropicale di Miami si è adattato ai nuovi climi del Tennessee e al ventilatore è succeduto il riscaldamento”, scrisse in una lettera datata 1 gennaio1949 alla gemella Paola e alla mamma. Spostamenti in treno, in auto e infine in aereo. Stati Uniti, Messico, Brasile, Perù, Argentina e tanti altri Paesi. Viaggi per rispondere ad una curiosità continua e mai appagata abbastanza. Conquistata la notorietà seguirono molti viaggi attraverso l’Europa come testimoniano tantissime lettere e numerose fotografie. Naturalmente in tutta Italia, in Spagna, in Francia, in Gran Bretagna, in Svizzera. E in Asia, Giappone soprattutto, in Australia. “Sto conducendo una vita errante”, scrisse più volte Rita ai famigliari, ma anche “sto lavorando molto”.
Tanto viaggiare rientrava nel carattere di “donna libera” di Rita Levi Montalcini. Del resto lei stessa scrivendo della scelta di essere andata a vivere negli Stati Uniti in una lettera del 3 aprile 1960 quasi si giustificò attribuendola alla necessità “di poter realizzare me stessa. Il mio bisogno di indipendenza e autonomia…”.
http://www.viavaiblog.it/rita-levi-montalcini-e-difficile-quasi-impossibile-fermare-le-donne/